Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Requiem per Duke Ellington: Miles Davis medita su vita e morte

23/11/2024

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​He Loved Him Madly è il primo requiem elettrico – visionario - di un grande jazzista, e in assoluto il più lungo.
Benché una smentita può esserci dietro l’angolo, in ogni caso, questo brano è straordinario.
Registrato nel giugno del 1974 fu pubblicato nel novembre dello stesso anno nel doppio Get Up With It , ultimo album in studio di Miles Davis prima dei cinque anni del suo ritiro.
Si tratta di brani registrati in studio tra il 1970 e il ‘74.
Già Charlie Parker, Django Reinhardt, Clifford Brown, Lester Young,  (solo per citarne alcuni) furono omaggiati dopo la loro morte da Lennie Tristano (Requiem), John Lewis (Django), Benny Golson (I Remember Clifford), Charles Mingus (Goodbye Pork Pie Hat); e sono delle eccezionali composizioni.
Ma He Loved Him Madly, dedicata a Duke Ellington, è una cosa a parte.
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Duke Ellington
Solo per contenerla ci fu bisogno di un intero Lp - dura 32 minuti - e l’atmosfera rinvia a cose di ben altra natura, allo “sperimentale” rock e dintorni di anni appena precedenti (Pink Floyd, e segnatamente i tedeschi Can, Amon Düül II, Faust, Ash Ra Tempel ecc.); quel centripeto girare in maniera un po' ossessiva su un asse di una nota a fondamento.
Tuttavia, ciò che rende unico questo pezzo pure rispetto a quelli rock, è anzitutto la qualità degli interventi solistici che si avvicendano dopo la prima parte; altresì la ben più alta e dotta consapevolezza nel “maneggiare” armonie e melodie, generando effetti significativi.
Imperante "modalesimo"; potente magnete di note intorno al DO minore.
​Principia con Davis all’organo elettrico mediante accordi dissonanti, brevi rulli di congas (Mtume), diluiti fraseggi di chitarra elettrica (Pete Cosey), radi interventi di batteria (Al Foster); praticamente assente il basso (meno di una nota al minuto di Michael Henderson).
Molta tensione e cupezza, a volte allusa mestizia; così per molto tempo.
Soluzione di continuità con un accordo a 10’41’’ e dopo una dozzina di secondi inizia un medio-lento groove di batteria, cui si agganciano basso e una seconda chitarra (Reggie Lucas), a seguire gli altri, e a 12’49’’ Dave Liebman comincia il suo solo di flauto.
A 15’46’’ qualcosa muta, quasi impercettibilmente sparisce l’organo e basso e chitarra cambiano quel poco che basta per stendere il tappeto all’entrata in scena della tromba dello sciamano officiante questo rito funebre.
Ed egli lo fa – a 16’06’’ esattamente a metà brano: singolare coincidenza - in modo dolentissimo, con note quasi piangenti, modulate dolcemente dal wha wha, ora lunghe ora singhiozzanti.
A 20’24’’ ancora improvvisazione di Liebman al flauto, si prosegue per qualche minuto, tra accennati aumenti e abbassamenti di temperatura.
A 25’ rientra l’organo, l’improvvisazione di Cosey riprende potere, ma a 26’58’’ querula la tromba di Miles sale ancora al proscenio col cambio di groove di Foster, ora più che lineare, elementare; a 30’ termina, con un’abbozzata traiettoria di climax, il solo, allucinato, espressionista, del trombettista.
Ancora un paio di minuti per la sezione finale di questo brano, e ancora con organo, chitarre, echi e riverberi; morbide curve dinamiche e timbriche tramite parziali fade out e fade in, per concludere in modo repentino.
 
Termina così He Loved Him Madly, un elegiaco brano estremamente polarizzato, cerebrale e lirico al contempo, il cui esito però non genera alcuna esacerbazione, anzi, produce una specie di sospensione, di equilibrio “meditativo” sulla vita e sulla morte, filtrato ed eseguito da una sensibilità e un'abilità artistica somma, visionaria.

Le analisi musicali di due capolavori di Miles Davis sono incluse nel libro Dischi da leggere - Collezione 1.
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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