Questo tipo di espressione non ha alcuna sostanza, nessun fondamento né pratico né teorico. È usata da chi non sa argomentare musicalmente per obiettare.
Ciò anche per tre logici, decisivi, motivi.
A volte mi è capitato di ascoltare o leggere da parte di qualcuno che vuole affermare il valore musicale dei suoi beniamini (spesso in contrapposizione a giudizi altrui, di solito ben argomentati), che l’unica discriminante sia suonare la note giuste (o i colpi nel caso di batteristi-percussionisti) nei momenti giusti e con le giuste tecniche, il resto non conta.
Questo tipo di espressione non ha alcuna sostanza, nessun fondamento né pratico né teorico. È usata da chi non sa argomentare musicalmente per obiettare. Ciò anche per tre logici, decisivi, motivi.
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In assoluto la bellezza/bruttezza dei suoni in musica non esiste.
Pertanto anche la bellezza/bruttezza del suono di uno strumento o espressa da uno strumentista. Ed essendo un chitarrista elettrico, la categoria in cui è più diffusa la morbosa ricerca dei “bei suoni”, so bene che è piuttosto delicata la questione. Ciò che è fuorviante è l’aggettivo bello (o brutto). Solar è un brano jazz molto interessante, tanto noto quanto misterioso, per vari motivi.
Fu registrato e pubblicato nel 1954 da Miles Davis nel disco Miles Davis Quintet (poi ancora stessa versione nel ‘57 nel disco Walkin’), di cui pure è autore. E qui il primo e più prosaico arcano: che Davis fosse piuttosto disinvolto nell’appropriazione di idee altrui è cosa risaputa, com’è ormai risaputo che il chitarrista Chuck Wayne suonava un pezzo del tutto simile già nel 1946: ma non fu mai pubblicato, e non si sa come Davis sarebbe venuto a conoscenza del brano (conosciuto poi come Sonny). Spectrum di Billy Cobham è tra i dischi strumentali più famosi; di matrice jazz-rock, fu pubblicato nel 1973.
Soprattutto apprezzato dagli ascoltatori rock in virtù di una certa facilità di ascolto data da semplicità e linearità dei temi e dei ritmi, insieme con un’esplosiva energia, a volte aggressiva, data, oltre che da Cobham, dal grande tastierista Jan Hammer e dal chitarrista Tommy Bolin: sono i solisti principali. Quando si può considerare una sequenza di note nel tempo una melodia?
Teoricamente sempre, perché una successione di note attiene all’elemento melodico della musica; come una successione di durate a quello ritmico, e un insieme di note simultanee a quello armonico. E se il ritmo è il fattore più elementare e diretto, più facilmente assimilabile (imitabile), l’armonia è quello più sofisticato e “intellettuale”; in mezzo c’è la melodia, che non a caso è considerata la regina della musica, è comunemente intesa quasi sinonimo di musica. My Favorite Things, brano che in origine era nel musical del 1959 “The Sound of Music” (composto da Richard Rodgers e Oscar Hammerstein II e conosciuto in Italia mediante il film col titolo “Tutti insieme appassionatamente” del ’65), siccome lo ascoltai nella versione di Coltrane, fu il primo pezzo jazz di cui m’innamorai.
Come spesso accade, l’”incontro” fu a casa di un mio amico dell’epoca (primi anni Ottanta); era uno dei dischi della sorella (più grande di noi). Benché millenaria dicotomia operata in molte culture del mondo, la concezione del tempo rettilineo insieme con quella del tempo circolare può coesistere.
Anzi, basterebbe pensare alle nostre esperienze per addivenire che non è semplicemente un concetto possibile, potenziale in termini teorici, ma reale. Va da sé che i cicli della natura ci portano a pensare di vivere il tempo ciclico; infatti lo abbiamo segmentato appositamente, in modo funzionale, in sempre più piccole, infinitesimali, frazioni. Tim Buckley è stato tra i più importanti cantautori statunitensi; in attività a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, morì prematuramente nel 1975 all’età di 28 anni.
Non molto conosciuto dal grande pubblico, è però oggi una figura di culto per una nutrita nicchia di ascoltatori e parecchio stimato dalla pubblicistica. Conobbi i Prefab Sprout appena prima di partire per il servizio di leva militare, il loro disco era Steve McQueen, appena pubblicato, quello più noto. E per moltissimo tempo fu l’unico per me.
Correva l’anno 1985 ed ero un giovane che stava studiando musica, appassionato di Jazz-Rock, che si stava avvicinando alla Fusion per modernizzarsi. D’altronde il Rock col quale avevo iniziato a entusiasmarmi per la musica fu subito affiancato dai Return to Forever, Mahavishnu Orchestra, Weather Report… Mi interessava soprattutto la musica strumentale, pertanto pure il Rock più alto e avanzato lo sentivo costringente; figuriamoci il Pop (o Pop-rock). Eberhard Weber è un musicista (primariamente contrabbassista e bassista) e compositore tedesco, attivo come leader di dischi nei primi anni Settanta per la casa discografica ECM, divenendo anche per ciò collaboratore di tanti compositori pubblicati da questa prestigiosa etichetta (Pat Metheny, Jan Garbarek, Gary Burton e molti altri).
L’altra sera a cena, parlandone brevemente con un amico (grande appassionato di musica, specialmente jazz-fusion), mi è venuto in mente che di quel disco-incontro di due apprezzatissimi artisti, ancorché ne avevo fatto tesoro, non ne avevo mai scritto una riga.
I Can See Your House from Here è il nome* del disco pubblicato nel lontano 1994 (registrato dicembre 1993) dai chitarristi-compositori John Scofield e Pat Metheny. È particolarmente interessante per vari motivi. I decisivi apporti e rapporti del Blues e del Jazz inerenti alla musica moderna li abbiamo visti varie volte e da prospettive differenti; facciamone una breve sintesi e aggiungiamo un tassello.
La grande novità della musica moderna fu l’originarsi all’alba del XX secolo della musica afroamericana: il Blues e il Jazz. Coevi e reciproci in termini di ascendenze e influenze. L’unione fa la forza, sì, ma quanta?
Per ottenere l’effetto del doppio di una potenza basta raddoppiarne la fonte? A volte ci sono questioni alquanto controintuitive, parecchie nel settore audio, che portano a errate conclusioni. Una di queste è che se una qualsiasi sorgente sonica, per esempio una cantante, è affiancata da un’altra che emette con la stessa intensità, si avverte un raddoppio dell’intensità sonora (volume). Correva l’anno 1972, anno mirabilis per la musica italiana, e venne pubblicato Azimut, il disco di esordio dei Perigeo; creatura del bassista e compositore (ed episodicamente alla voce) Giovanni Tommaso.
Come già evidenziato, i Perigeo è un gruppo Jazz-Rock alquanto raffinato, non di rado atmosferico, a volte addirittura un po’ onirico; quindi parecchio meno aggressivo, provocatorio e virato sulla velocità e virtuosismi dei colleghi Area. Quel magnifico strumento chiamato pianoforte è uno strumento sempre stonato, pure quando perfettamente accordato.
Le note alte sono più alte e le note basse più basse di quanto debbono essere nella scala del nostro sistema musicale ossia del Temperamento equabile*. È un fatto che sorprenderà molti, tuttavia per gli specialisti è cosa nota; inesorabile. Dopo un fortuito incontro con un mio vecchio compagno di scuola, ieri mi ha chiamato telefonicamente un altro, di cui lui è amico, ma che io non vedevo e sentivo da più di 40 anni.
Appena dopo rapidi convenevoli si è affrettato di dirmi una cosa che non rammentavo, ossia che all’epoca gli avevo registrato una cassetta con una selezione di brani jazz-rock e fusion (Brand X, Weather Report, Spyro Gyra, Perigeo ecc.). Lì per lì non mi ha sorpreso più di tanto, anche se con lui, pur avendo una simpatia di fondo, non avevo un rapporto che andasse oltre le ore di scuola. Quel che mi ha sorpreso è ciò che ha aggiunto: quella cassetta, in qualche misura, ha influenzato la sua vita. Non poche volte mi è stato chiesto: si può fare musica solo col rumore? Qual è la differenza tra una nota e un rumore?
Ebbene, no, non si può fare musica solo col rumore; almeno non del tutto. E vedremo meglio più avanti perché e cosa si può fare col rumore, anche perché prima occorre comprendere cosa è una nota e cosa un rumore. La struttura formale dei brani musicali è un fondamentale fattore, ma un po’ trascurato da tutti.
È mediamente poco preso in considerazione dai compositori di Jazz, Pop, Funk, Rock ecc., e assai poco rilevato dagli ascoltatori; seppur non c’è bisogno di un’istruzione musicale specifica, basta prestare un minimo di attenzione. O meglio, i compositori lo prendono in considerazione, ma nel senso che la stragrande maggioranza lo dà per scontato, appoggiandosi a una forma monotematica strofa-ritornello con le ali Intro-Coda. E quindi gli ascoltatori si sono assuefatti, pertanto ancor meno inclini a notare la forma musicale del brano che stanno ascoltando. Insomma, Intro-A-A-B-A molteplici volte e poi Coda. ECM (Editions of Contemporary Music) è una casa discografica fondata nel 1969 da Manfred Eicher in Germania. È divenuta un punto di riferimento per la sua eccezionale estetica: musica atmosferica prevalentemente strumentale di matrice jazzistica.
La sua poetica non è semplicemente della non aggressività, della quiete ritmico-tempistica e rarefazione sonica, con ampie arcate melodiche reiterate, altrimenti sarebbe semplicemente la poetica delle ballad, di pezzi lirici, densi di pathos, “sentimentali”, di cui ce ne sono innumerevoli in tutti i generi. Hendrix, Page, Santana e McLaughlin: cos’è che li connette? Qual è la caratteristica che li rende parenti?
Certamente sono quattro chitarristi fuoriclasse e leader di altrettanti gruppi che “hanno fatto la storia”, e non volgarmente nel senso che hanno avuto successo, bensì che hanno grandemente influenzato la moderna storia musicale nella sostanza, negli specifici contenuti. |
Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Aprile 2024
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