Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

L'unicità degli Oregon, tra ibridazione musicale e creatività

31/8/2024

1 Commento

 
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Conobbi la loro impegnativa musica che avevo circa vent’anni tramite un’antologia dei loro primi dischi: mi stregò il loro particolarissimo mondo di suoni; incisivo ed etereo, intriso di carnalità e spiritualità al contempo.
Non avevo ascoltato fino ad allora nulla che somigliasse a ciò e, soprattutto, nemmeno nei decenni successivi nelle mie più ampie e profonde esplorazioni musicali*.
​Suoni esotici e classici insieme, melodie estese e sinuose con incalzanti ritmi, terse note sparse in armonie rarefatte, severe costruzioni ma niente affatto rigide, anzi, dotate di flessibilità e improvvisazioni jazzy. A volte perfino tendenti al free o alle intricate fabulazioni dell’avanguardia della Classica novecentesca.
Sofisticata musica da camera e vasti orizzonti di suggestione etnica al contempo.
Oregon è il nome di un gruppo statunitense di polistrumentisti tra i più creativi; primo disco pubblicato 1972. Music of Another Present Era; fu subito un capolavoro.

Ralph Towner (chitarre e mellofono), Paul McCandless (fiati), Glen Moore (contrabbasso e violino) e Colin Walcott (percussioni e sitar)** hanno prodotto un’ibridazione musicale inusitata con notevoli esecuzioni.
Musica strumentale e acustica, nella quale - a differenza degli allora neonati generi Jazz-Rock e Fusion – non si riscontrano elementi Blues, Rock, Samba, Funk e loro derivati.
Alternano agevolmente ostinati e bordoni, minimali armonie modali a raffinate sequenze accordali, serrati obbligati e lunghe improvvisazioni.
La loro timbrica cifra stilistica si consolidò nel tempo specialmente con l’uso di oboe, tabla e chitarra acustica 12 corde/classica.
Dunque, raramente impiegata la batteria, ancor meno il basso elettrico; mai usata la chitarra elettrica.

​Nei primi nove anni (1972-1980) hanno pubblicato altrettanti dischi registrati in studio, più due live; altresì nel 1980 pubblicarono Our First Record, registrato nel 1970 e rimasto nel cassetto: pregevole.
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​Comunque, sin dal secondo disco Distant Hills (1973), si va verso una semplificazione, e un impiego sempre più diffuso del pianoforte. Winter Light (1974) è il disco più riuscito nel calibrare le soluzioni più complesse e colte con un più accessibile grado di melodica cantabilità; anche relativamente ai successivi***.
Dopo il disco dal vivo In Concert (1975) da segnalare un trittico di opere peculiari perché aperte a collaborazioni esterne: Together (1976) con Elvin Jones alla batteria, Friends (‘77) con vari ospiti e Violin (‘78) con Zbigniew Seifert al violino; tutti un po’ dissimili, pure dal loro solito, benché perfettamente in scia con le loro inclinazioni, ma realizzati da prospettive differenti (specialmente Together e Violin: più propulsivo-swing il primo più riflessivo e cameristico il secondo). Da non sottovalutare; svetta Violin.
Nel biennio seguente (1978-’79) ben tre dischi: Out Of The Woods, Moon And Mind e Roots In The Sky, tutti di ragguardevole qualità (il primo su tutti), però la parabola è discendente, le idee sono un po’ stagnanti.

​​Invece, discontinuità (perlomeno formale) - pur non avendo ospiti - si ha nel decennio successivo, per un sempre più preponderante uso delle tastiere (suonate da Towner) e da una meno prolifica produzione: Oregon è del 1983 e Crossing del 1985, che vede l’ultima partecipazione dello sfortunato Colin Walcott: morì in un incidente stradale pochi giorni dopo la registrazione del disco.
Dischi interessanti, di transizione non del tutto maturata.
Walcott fu sostituito nel 1987 col fuoriclasse Trilok Gurtu per il loro nuovo disco Ecotopia; si aggiunsero due dischi con lui: 45th Parallel (1989) e Always, Never, And Forever (1991).
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​Ancor più i contenuti cambiano, pure perché maggiormente d’impatto e intriganti per l’adozione della (particolare) batteria di Gurtu; sebbene mantenendo alcune loro peculiarità, si avvicinano a sintesi di alto rango strumentale Jazz-Rock/Fusion. Quindi in tal senso Ecotopia è un passo avanti a Crossing, sebbene non del tutto convincente.
Mentre eccelle 45th Parallel, perfettamente maturo nella svolta tastiero-batteristica e nel calibrare innovazione e stile.
Più nei ranghi “Always”, senza grosse sorprese e vette (ove c’è un arrangiamento di uno dei loro brani più noti e “abbordabili”, Aurora, risalente al 1973).
Gli Oregon sono riusciti a rinnovarsi, mantenendo una rilevante quota di qualità creativa e di personalità, quindi di riconoscibilità.
Nei dischi successivi non si riscontrano significative innovazioni, mediamente rientrano in una routine di eminente livello.

Towner e compagni hanno grandemente contribuito a un’ibridazione amplissima sia estetica che poetica, che molti potrebbero anche chiamare world music, e che sovente è superficialmente usata appena a una canzone pop-rock è aggiunto qualche fattore esotico (africano, asiatico ecc). Loro ben altro.
Al netto che nei precedenti anni Sessanta, Tony Scott e Don Ellis (e altri, compreso il già citato Paul Winter) avevano in modo esplicito e progettuale operato in tal senso, gli Oregon hanno ulteriormente elevato ed esteso ciò. Oltre che per l’adozione di strumenti etnici (con il loro profondo linguaggio musicale di origine), mediante un approccio differente, da quartetto classico cameristico aperto a improvvisazioni jazz (non distante dal Modern Jazz Quartet), permeato dal free e dal linguaggio avanguardista della Classica novecentesca.
​
Agli Oregon correlo tre nomi coevi e ben più noti agli appassionati di musica strumentale: John McLaughlin, Weather Report e Pat Metheny; similitudini nelle premesse (ed esiti) globali nel costante incrocio di generi e stili, ma con diverse estetiche e poetiche cui generano musiche del tutto distinte, ma con un autentico carattere “world”. 
McLaughlin a cominciare dal meraviglioso disco My Goals Beyond (‘71).
I W.R. con le peculiari rarefazioni atmosferiche**** e improvvisazioni, e coi brani-manifesto Scarlet Woman e Jungle Book (‘74).
Metheny per l'inibizione (come loro) al Blues, Rock e Funk - ma non alla musica brasiliana che fu per converso tra i principali vettori per la sua world-fusione - insieme al propendere alla polarizzazione tra brani con lunghe improvvisazioni e piccole perle cantabili.

Di seguito, tra i moltissimi brani degli Oregon, una ridottissima campionatura di approccio al loro imponente spettro musicale.

​​* Il sassofonista e compositore Paul Winter avviò qualche tempo prima di loro un progetto simile, la particolarità è che tra i suoi collaboratori più stretti ci sono proprio loro (nel live Road del 1970 e Icarus del ‘72).
** Episodicamente McCandelss, Walcott e Moore al pianoforte. Altresì, successivamente, Towner si incaricò di suonare il pianoforte e sinth, con sorprendente bravura: d’altronde fu il primo strumento che studiò.
*** Presenti eccezionalmente un paio di inflessioni brasileire.
**** Towner fu invitato a suonare la chitarra nel brano The Moors del disco I Sing The Body Electric.
1 Commento
Elio
9/9/2024 15:01:30

Grazie per l'analisi e la scelta dei brani. È stato un viaggio indietro nella mia giovinezza.

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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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