Apocalypse della Mahavishnu Orchestra (registrato marzo 1974, pubblicato poco dopo) l’ho riascoltato varie volte nel corso dei decenni, da quando da adolescente lo conobbi; oggi è pertanto solo l’ultima di una lunga serie.
È un’opera molto particolare, essendo insieme con un’intera orchestra sinfonica - peraltro la prestigiosissima London Symphony Orchestra diretta da Michael Tilson Thomas con orchestrazioni dell’ottimo Michael Gibbs – con la produzione di George Martin (già importante collaboratore dei Beatles)*.
Apocalypse è il primo disco della seconda versione della Mahavishnu Orchestra, che McLaughlin rifondò con Jean Luc Ponty al violino, Gayle Moran tastiere e voce, Ralphe Armstrong basso e Narada Michael Walden batteria.
Sebbene piuttosto raro, nel 1974 non era una novità l’uso di un’orchestra classica per stratificare, potenziare, sofisticare un gruppo rock e dintorni; addirittura nello stesso anno pure suo “fratello” Carlos Santana lo fece col disco Illuminations insieme con Alice Coltrane.
Due cose, ma fondamentali, non risultano ottimali in Apocalypse, una di contenuto, l’altra formale: le composizioni e l’interazione dell’orchestra. Essa è impiegata in modo piuttosto massiccio, tuttavia poco integrata col gruppo.
Perlopiù è usata nelle introduzioni e nelle code dei brani, col gruppo che centralmente fa la sua parte (Vision Is a Naked Sword, Wings of Karma, Hymn to Him), oppure come accompagnamento-sfondo a un solista (Power of Love - chitarra classica e violino elettrico, Smile of the Beyond - voce), ma sempre col medesimo schema di intro e coda.
Sia le parti compositive con l’orchestra sia quelle col gruppo non sono molto originali, né con uno stile moderno o contemporaneo, se non a sprazzi.
Il taglio delle parti con l’orchestra è prevalentemente di estrazione romantica, sembra un Ottocento ammodernato alla Richard Strauss, Sibelius o il connazionale (del leader) Ralph Vaughan Williams, mentre le sezioni col gruppo parecchio semplificate, relativamente ai precedenti dischi, con brevi motivi, riff e quindi soli; quasi da jam session, come a bilanciare l’inesorabile rigidità dell’orchestra.
Certo, è pur sempre la Mahavishnu di McLaughlin: pur mancando i loro feroci e inimitabili unisoni, non difettano i tempi dispari (11/8 di “Vision” e 21/8 di “Wings”) o comunque non comuni (22/4 di “Smile”), e la densità e potenza dell’orchestra è molto ben espressa**.
Premesso che le parti strumentali del gruppo sia nell’insieme sia individualmente non presentano altissimi livelli, se non raramente qua e là (peraltro Gayle Moran – moglie di Chick Corea – come tastierista non è nemmeno vagamente assimilabile al livello di Jan Hammer; benché con la sua voce sopranile ha ottimamente caratterizzato Smile of the Beyond***). Lo stesso McLaughlin non aggiunge granché, anzi, qui in veste più compita, con suoni puliti o poco saturi, rinuncia alle aggressive coloriture e lirismi propriamente rock che precedentemente ebbe pure al di fuori della Mahavishnu.
Tuttavia una gran novità ci fu, ancorché passata troppo in sordina.
Armstrong, da 8’08’’ e per oltre cinque minuti - oltre a suonare il riff - interloquisce continuamente con le sue sinuose linee e sale ulteriormente al proscenio con un solo (a 10’) in quantità, qualità e modalità che non si erano mai ascoltate prima: perfetta precisione ritmica e d'intonazione note, e straordinaria ricchezza melodica di fraseggio*****. (Armstrong in quegli anni suonerà in vari dischi di Jean Luc Ponty, per poi, purtroppo, alquanto eclissarsi.)
* Martin si dichiarò pubblicamente più che soddisfatto del disco, ritenendolo una delle sue migliori produzioni in assoluto; d’altronde fu un’impresa notevole riuscire tecnicamente a realizzarla in modo ottimale.
** Le parti orchestrali privilegiano grandi ammassi sonori; armonie poderose e d’effetto, ma esiguamente raffinate come polifonie contrappuntistiche e coloriture timbriche.
*** Un paio di anni dopo canterà, parecchio di più, nel disco Musicmagic dei Return to Forever del marito.
**** Tecnica ampiamente usata da Jaco Pastorius in modo particolarmente brillante e lirico, facendone un suo “marchio di fabbrica”.
***** Peraltro, non mi risulta un intervento al fretless così da protagonista pubblicato precedentemente in un disco, per giunta da una major o comunque di larga diffusione.