Imponderabili miscugli di quantità e qualità, almeno non con precisione; ma all’ingrosso è possibile comprendere qualcosa.
Io ho sempre avuto l'attitudine a profondi mescolamenti...
Cresciuti nel secondo dopoguerra, lui in giro per l’Italia, lei stanziale a Roma (vicinissima a San Pietro) prendendo lezioni di musica. Lui spericolato, lei assai prudente; si sono incontrati e mischiati.
Io cresciuto nelle periferie di Roma (prima nord poi sud); e queste (come probabilmente tutte le periferie metropolitane) talvolta hanno accostamenti alquanto estremi.
Senza arrivare a giustapposizioni come quella (peraltro non in zona periferica) a Napoli di via Toledo e i Quartieri Spagnoli, il proletariato e la piccola borghesia erano limitrofi alla media e alta borghesia (oggi tutto più “medioso”).
Già solo questo è di per sé assai sociale e politico, tuttavia non mi sono mai interessato attivamente a ciò, peraltro pur avendo frequentato scuole massimamente politicizzate.
E qui un altro fattore esistenziale che ho rilevato e che ritengo sia parecchio diffuso, che è il contrario di una mediazione (ovviamente non sempre è così schematico): immersi o esposti a precise caratterizzazioni, spesso o si seguono alquanto pedissequamente quelle o si reagisce pressappoco all’opposto.
Se i genitori fanno un tipo di mestiere, si tende a esercitare quello o di tutt’altra specie; se sono stanziali, o si è così o assai viaggiatori; se spendaccioni, o così o avari; se conformisti, o così o anticonformisti, ecc.
E di per sé, sia intimamente sia esternamente, la musica è la regina dell’armonizzazione di contrasti; a volte radicali, poderosi.
Al netto di una solitaria melodia - non esiste musica che non abbia continui mescolamenti di vari gradi di tensioni, dissonanze, antagonismi sonici, formali, timbrici, di registri e quant’altro.
Dai minuscoli atomi di note flessuosissime alle macro aggregazioni di generi e stili consolidati, fare musica è scegliere attimo dopo attimo quali e quante “contraddizioni” fondere tra loro nel tentativo di generare nuove “coerenze”.
Più si conoscono gli elementi e i fattori costitutivi la musica - dalle singole note di scale e armonie e loro durate (ritmi) alla sua storia complessiva - più e meglio si possono mischiare.
Pure i generi e gli stili meno profondi e variegati, più inclini al conservatorismo, necessitano di ciò.
E se è vero come è vero quel che il maestro del realismo francese – Gustave Flaubert – scrive a proposito dell’inaderenza tra ciò che si sente e ciò che si riesce ad esprimere nei vari momenti di vita, tanto che
“la parola umana è spesso come un pentolino di latta su cui andiamo battendo melodie da far ballare gli orsi mentre vorremmo intenerire le stelle”, a pensarci bene paradossalmente l’asemantica musica - perlomeno questa è la mia esperienza diretta - sovente può rivelare (o almeno far intuire o supporre) l’essenza complessiva di vita dei musicisti, le loro vocazioni esistenziali; ed estremizzando, anche nel caso di un ascoltatore, la musica che ascolta rivela la sua essenza.
La musica, ente ed energia invisibile e impalpabile, arte astratta per eccellenza, è ben più di una rappresentazione o filosofia di vita: lei stessa è vita, la incarna tramite noi.