Sono fuorvianti giacché scorretti, ossia non rispondenti al vero, i non rari primati attribuiti da parecchi “addetti ai lavori” a questo o a quel musicista, opera ecc.: “il primo, il migliore” e così via (sorvolando sulle diffusissime quanto sterili discussioni tra i semplici ascoltatori in tal senso).
Però, talvolta, assai raramente, accade che a livello storico ciò possa capitare, o perlomeno conferirlo correttamente.
Per quanto bravi e brillanti nessun chitarrista blues, rock o rock-blues dell’epoca poteva vantare simili caratteristiche, considerandone pure una nota ma sovente poco “messa in conto”: la tecnica dei double e triple stop.
È una tecnica che permette di rafforzare una breve linea melodica, armonizzandola - solitamente - tramite intervalli di terze (minore e maggiore), quarta e quinta (giuste), che dunque valorizzano e rendono più ricchi e incisivi questi passaggi.
Pertanto è il suonare più note simultaneamente: piccole frasi musicali mediante frammenti accordali**.
Prassi da secoli adottata dagli strumenti a corde nella musica Classica, e nemmeno sulla chitarra elettrica l’ha inventata Hendrix, basti pensare che fu usata pure da Chuck Berry per la celeberrima Johnny B. Good; ma Jimi la sviluppò così tanto che divenne anch’essa un suo marchio di fabbrica.
Si può ipotizzare che in questi casi sia stata mutuata dai riff suonati dalle piccole sezioni fiati R&B, perciò è una specie di via di mezzo tra una linea melodica e rapidissimi cambi di minuscoli accordi, poiché nelle sezioni fiati spesso ci sono movimenti obliqui di note: una (o due) cambia una (o due) rimane ferma.
Dunque con i double-triple stop - soprattutto hendrixiani - si delineano in modo efficace le parti del basso e le cadenze armoniche insieme con incisive scelte ritmiche a mo’ di riff.
Così questo approccio concerne direttamente e al contempo sia l’aspetto melodico sia quello armonico e ritmico, pertanto si percepisce una particolare pienezza musicale tramite poche note.
Efficacia ed efficienza massima; per chi lo sa fare bene.
Hendrix sin dal suo debutto discografico con Hey Joe impiegò questa tecnica, l’anno successivo raggiunse l’apice sia in termini quantitativi sia qualitativi nel disco Axis: Bold As Love.
I suoi double-triple stop sono sempre connessi con lo scorrere degli accordi del brano.
Wait Until Tomorrow, You Got Me Floatin', One Rainy Wish, e menzione particolare per Castles Made of Sand, la celebre Little Wing e la conclusiva Bold as Love; queste le canzoni nelle quali Jimi li usa abbondantemente.
L'impiego che il chitarrista di Seattle ne fece è così peculiare ed esteso, innalzandone apicalmente il livello, che a tutt’oggi qualunque chitarrista li usi, chi più chi meno chi volontariamente chi no, lo evoca.
E non si può non evidenziare il brano Bold as Love; non comune allora, che continua ad esserlo ancora. Vediamo brevemente perché.
Fondato su un’unica sequenza accordale trasposta tre volte, con due piccole, ma rilevanti, variazioni.
Nella strofa rigorosamente derivanti dalla scala diatonica di base (I-V-VIm-IV), nel ritornello l’ultimo cambia, ne sono inseriti due (sempre maggiori) che non appartengono alla tonalità (bVII-VII).
Tempo medio-lento, principia sensualmente con un’intro voce e chitarra con double-triple stop, melodia con molte note (ma non molte di diversa altezza) con ritmo alquanto sincopato; strofa.
Poi a 15’’ l’armonia trasla in blocco (modulazione) col cantato sulla falsariga del precedente, un po’ più lirico: qui entrano basso e batteria e la chitarra continua con i double-triple stop. Ancora è strofa.
Si prosegue, quindi e a 29’’ la serie accordale trasla, ritornando a quella di partenza, e l’”ambiente” armonico che prima aveva il carattere di una strofa diviene lo scenario del ritornello, con batteria e basso più grintosi, la chitarra suona in modo continuo gli accordi non accompagnando più come all'inizio, e il cantato è molto meno ritmico, assai più largo.
Insomma, il ritornello ha simile successione armonica della strofa (senza modulazione), muta il modo di accompagnare.
Dopo un break si ripete strofa e ritornello.
Ancora break che lancia la parte solistica di chitarra (si sta sempre sul ritornello).
Un ragguardevole solo, misurato e cantabile ma teso, cui Hendrix calibra persino la nota fuori tonalità (quindi assente dalla scala usata - 2’02’’, 2’09’’, 2’28’’), ove alterna melodicità diatonica con pentatoniche bluesy.
Segue una coda terzinata (6/8) e a 2’46’’ sembra sia già terminato il pezzo.
No, con un taglio (edit) sono innestati dei fill di batteria che lanciano l’ultima parte del solo che mantiene la stessa successione di accordi sfruttata per il ritornello ma trasposta interamente una terza maggiore ascendente; ed Hendrix non perde la lucidità, non scalpita con iperacuti e contorcimenti strappa budella, anzi, mantiene il carattere melodico del solo, giungendo persino a suonare in rapido ostinato e precisamente tutte le note dei cinque accordi (arpeggi) del pezzo mentre scorrono (da 3’26’’ a 3’40’’), anticipando così una delle prassi preferite da moltissimi musicisti rock (due su tutti: Ritchie Blackmore e Mark Knopfler).
Termina il solo col carattere blues: un solo globalmente quindi molto composito.
Parecchie cose in tutti questi interventi chitarristici (double-triple stop e soli) certamente poco frequentate, peraltro in questo modo, dagli altri rocker del periodo. Straordinario.
Jimi Hendrix finché è vissuto, settembre 1970, semplicemente fu il massimo dei chitarristi rock, nessuno fino ad allora, nemmeno quelli stilisticamente lontani da lui (Zappa, Fripp, Santana), pur essendo già dei giganti (e destinati ad essere ancor più colossali), fu altrettanto innovativo.
* Si distinse pure allorquando volle fornire proprie versioni di brani di altri, arrangiandoli in modo così personale da farli divenire “suoi” (Hey Joe e All Along the Watchtower i due più famosi).
** Hendrix considera sempre la sequenza armonica del brano, estraendone così le note più "giuste" per i suoi profondi e ampi double-triple stop.