Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Il suono di un chitarrista elettrico: i tre elementi più sottovalutati

24/4/2025

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Nell’immaginario collettivo (non solo di semplici ascoltatori od hobbisti, ma pure di alcuni professionisti) quel che determina il timbro di un chitarrista è ciò che imbraccia (quale chitarra) e cosa sta alle sue spalle (quale amplificatore); ma spesso non è così*.
Annose discettazioni e polemiche su chitarre, device vari e soprattutto amplificatori che - secondo la vulgata - dovrebbero essere rigorosamente a valvole.
La questione è più frutto di fantasie che di realtà, di cose che s’immaginano come effettive, ma che non corrispondono al vero. Quindi se le premesse sono false le conclusioni non possono esser vere.
Sono tutte cose inerenti a questioni puramente timbriche e pertanto legate alla conoscenza di come funzionano le frequenze delle onde sonore, perciò di come manipolarle ad hoc per ottenere alcune tipologie di suoni.
Tre sono le cose che sempre più mi hanno colpito: la sottovalutazione del tipo di corde, dei plettri e dell’elettronica.
​
In sintesi, delle corde, oltre al loro diametro, la differenza fondamentale sta nella tipologia: ruvide o lisce.
Ed è intuitivo che la grandezza-scurezza del suono sia direttamente proporzionale al loro diametro; e dovrebbe essere intuitivo pure per ruvide-lisce, ma, siccome la stragrande maggioranza usa quelle ruvide…
Per esempio, moltissimi pensano che i tipici suoni “felpati” dei chitarristi jazz siano esito delle chitarre usate, le semiacustiche, perciò se un chitarrista non ha una semiacustica (e usa corde ruvide) attenua le alte frequenze, per “ammorbidire”… Parzialmente funziona.
Ma quel suono jazzy proviene assai più dalle corde lisce adottate che dalla tipologia della chitarra: se si monta un set di corde lisce su una hendrixiana Fender Stratocaster si avranno grosse sorprese…

Poi, ancor più invalsa e potente, paradigmatica, è la credenza sui classici timbri distorti degli storici chitarristi rock: spesso hanno usato nei concerti ampli Marshall (meno in studio**), che, peraltro, siccome erano a valvole…
Quindi nell’immaginario collettivo o Marshall o morte (o perlomeno che sia un ampli a valvole altrimenti…). Insomma: no Marshall no Rock!
Non è così, e meno male.
La stragrande maggioranza dei suoni dei riff e assoli storici dei vari Beck, Hendrix, Iommi, Page, Blackmore ecc. non è direttamente frutto della distorsione degli ampli Marshall a valvole*** , ma di semplicissime, rozze, scatolette con dentro un paio di diodi e transistor che stavano ai loro piedi (o poggiate da qualche parte), chiamate fuzz o distorsori (o boost di vari tipi).
Tutti gli ampli dell’epoca, compresi gli iconici Marshall, non erano in grado di distorcere così tanto****; se alzati a tutto volume generavano un barbaglio di saturazione; dunque per conseguire quegli storici timbri hard - che tutti noi abbiamo ascoltato e amato da decenni - furono usate quelle “scatolette” a transistor.

I negletti plettri, tanto economici quanto non visibili quindi non generativi di indicazioni o suggestioni, sono anch’essi importanti.
Sono ciò che in prima istanza fisicamente producono il suono giacché la “scintilla” energetica che impatta le corde della chitarra, innescando la primigenia vibrazione data dunque dal tocco del plettro.
​Pertanto, la sua consistenza (spessore, forma e materiale di cui è fatto) determina l’essenza dell’onda sonica***** ed è direttamente proporzionale: più sottile e morbido il plettro così il suono derivante, e viceversa.

Insomma, la questione suoni chitarristici è alquanto diretta e semplice, tuttavia spesso resa complessa e complicata, paradossalmente, da riduzioni a schemi (peraltro più visivi che altro e che non corrispondono alla realtà specifica) che affascinano il pubblico, ma confondono coloro che tentano di capirci davvero qualcosa.


* Qualche tempo fa avevo scritto che, da parte soprattutto dei chitarristi elettrici, c'è un perenne inseguimento alla bellezza del suono perfetto, perduto, un sacro graal… Con la conseguente G.A.S., ossia sindrome da acquisto compulsivo di strumentazione, che mai termina: per molti è un agrodolce perdersi...

** I britannici Vox, Hiwatt, Laney, Wem, Orange erano gli amplificatori più usati - oltre a Marshall (e agli statunitensi Fender).

*** In pratica l’unico tipo a disposizione: non era una scelta in tal senso. Comunque, le valvole sono elementi elettronici tanto quanto diodi e transistor: quindi, checché se ne dica e pensi, non hanno alcuna proprietà acustica “naturale”.

**** Fino all’avvento dei Mesa/Boogie, pertanto circa metà dei ‘70: solo questi erano in grado di generare un’intensa distorsione, senza l’ausilio di dispositivi esterni.

***** Vibrazione che sarà amplificata (ed eventualmente più o meno alterata) da una catena di dispositivi elettronici: microfoni magnetici (pick-up), distorsori e amplificatori con altoparlanti.
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    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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