E ciò sebbene alcuni famosi teorici perorarono nel corso dei secoli in tal senso il primato dell’armonia.
Questa propalazione fu a fronte della prassi compositiva che, dopo l’originaria monofonia medievale e successiva polifonia contrappuntistica**, dal Seicento e la nascita del genere operistico vide diffondersi sempre più la monodia accompagnata, consistente nell’esecuzione di una linea melodica sostenuta da armonie accordali.
Queste due importanti variazioni semplificative resero molto efficienti le musiche: con parecchio meno sforzo compositivo e d’impiego di risorse anche in termini di musicisti, si ottenevano brani molto apprezzati. Tanto che ancora oggi è così.
Nel Settecento si misero a punto degli schemi accordali: successioni armoniche che miravano ad ottenere semplici e inequivocabili tensioni e distensioni musicali. Erano pochissimi moduli, dunque si ripetevano pedissequamente, e nei punti cardine delle sezioni (a cavallo da una all’altra o la reiterazione di una stessa) constavano solo di un paio di accordi: vennero chiamate cadenze.
Se nella fase precedente erano le melodie polifonico-contrappuntistiche a generare armonie, qui a stabilire i percorsi melodici sono i precostituiti accordali (sia come strutture insite sia come successioni a blocchi)***.
In ogni caso, quale che sia l’approccio e quindi la procedura adottata (prima la melodia e poi le sequenze accordali di complemento, o viceversa) è importante comprendere l’eminenza relazionale tra loro.
Al netto della dimensione essenziale della melodia, ossia la scelta delle altezze (le note-frequenze) e quella vivificatrice ritmica (il numero e le durate), il reticolo di nessi melo-armonici tra la melodia e gli accordi ritengo sia dato troppo per scontato o comunque sottovalutato.
Infatti, spesso le armonie sottostanti le linee melodiche sono considerate come capaci solo di mere “colorazioni” di esse, e non come ridefinenti polarizzazioni delle forze in gioco capaci di alterare - come un prisma che scompone e riflette in un altro spazio l’onda di luce - anche le linee stesse, mantenendone le caratteristiche essenziali.
Appresso c’è l’incipit di una notissima melodia folcloristica, un nostro canto popolare dell’800; in gioco solo 3 note diverse, alcune ripetute fino a giungere a 9 note.
Prima solo la linea (in FA maggiore), poi con l’accordo originale (FA), segue una variante (tra le numerosissime possibili). L'accordo variato non è particolarmente sofisticato, peraltro perfettamente aderente alla convenzionale tonalità diatonica della melodia.
La “tecnica” si può anche invertire: dati pochi ed elementari accordi con loro abusate sequenze si possono ideare “prismatiche” linee melodiche che rendano il tutto inusitato, raffinato e innovativo: e se nel Jazz è pratica comune quella di riarmonizzare melodie, l’inverso, rimelodizzare armonie, è assai meno consueto. Pressoché sconosciuta negli altri generi.
* Non è questa l’occasione per esporre le pur evidenti motivazioni.
** Ebbe la sua massima sofisticazione contrappuntistica tra il 1400 e il rinascimentale secolo seguente.
*** Va da sé che se rimangono sempre le stesse due scale con le stesse tipologie di accordi e le stesse poche combinazioni di successioni, le soluzioni compositive saranno molto limitate, ripetitive.