Carlo Pasceri
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Free Jazz e Punk... così diversi?

1/10/2024

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Estetica e poetica, due termini che spesso si confondono.
Non dovrebbero confondersi il Free jazz e il Punk.
Eppure…
Il Free jazz, sorto tra la fine dei Cinquanta e l’inizio dei Sessanta del ‘900 per opera anzitutto di Ornette Coleman - seguito da giganti* come Eric Dolphy e John Coltrane (nei suoi ultimi tre anni di vita ‘65-’67) - è un fondamentale stile di Jazz che da lì, con alterne fortune artistiche e di successo di pubblico, si è variamente conformato fino ai giorni nostri.
​Tra i più noti e diretti eredi afroamericani ci furono Cecyl Taylor, Albert Ayler, Archie Shepp, Antony Braxton e l’Art Ensamble of Chicago.
Passando pure attraverso le esperienze di caucasici come Steve Lacy, Tim Berne negli Ottanta cominciò un notevole percorso artistico in cui il Free jazz fu un importante componente, che a sua volta ebbe in un altro Coleman, Steve, pure con il collettivo M-Base (attivo nel modo più creativo dalla fine degli Ottanta ai Novanta), ulteriore e interessante ramificazione.
Sono quasi tutti alto sassofonisti, come Ornette; d’altronde un altro di loro, John Zorn**, si unirà a questa cordata di ribelli alle convenzioni, per dirla con una frusta formula.
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John Zorn
Ed ecco che il lontanissimo Punk potrebbe non essere così distante; d’altra parte, si sa, a volte gli estremi si sfiorano***.

L’estetica è il carattere generale di un progetto artistico, la sua strategia di fondo, la poetica è la sua modalità operativa, la sua tattica messa in atto.
E allora Free e Punk hanno punti in comune nell’estetica, nel voler esser contro le convenzionali espressioni artistiche, e pure nella sua operativa realizzazione “poetica”.
​
Infatti, l'irruenza, la velocità, la violenza accumulativa di suoni non di rado aggrovigliati, quasi confusi, che sovente il Free jazz esprime, si ritrovano massivamente nel Punk. Le diversità sono però manifeste.
I musicisti Free non vogliono solo contestare, lamentarsi più o meno violentemente, vogliono andare oltre mediante un nuovo linguaggio di note; non è semplicemente protesta per disgregare le vecchie modalità espressive, è generarne di nuove****.
​
Dunque, oltre a linee melodiche con insoliti intervalli e scale, benché non spesso, si riscontrano anche brani lenti, talvolta d’atmosfera, pure sfruttando timbri rumoristici e forme differenti dalle solite song.
Mentre chi suona il Punk è sterile in ciò, giacché è musicalmente assai poco istruito e assai poco abile a livello strumentistico.
Quindi il Punk musicalmente non fu in grado di essere costruttivo mediante un innovativo lessico che non seppe darsi, ma solo, in modo un po’ infantile, propositivo di una distruzione di ciò che esisteva tramite un idioma basico, elementare, fatto di pochissimi principi e quindi del tutto ripetitivo, dunque fine a sé stesso, pure perché ricalcava la collaudatissima forma “canzone” o r&r e conseguenti stilemi armonici, melodici e ritmici.
Talvolta il Free jazz, soprattutto nelle incarnazioni più moderne e contemporanee (Berne, Coleman/M-Base e dintorni), ha incorporato degli elementi ciclici, ripetizioni di cellule, riff o pattern ritmici (in questo M-Base è stato avanguardia sperimentale di cose intricatissime).

​​Al netto degli interessanti esperimenti di Keith Tippett all’alba dei Settanta e il nostro apicale gruppo Jazz-Rock degli Area che incorporò nella sua musica gli stilemi del Free jazz, nel 1972 un pressoché sconosciuto (almeno in Italia) Julius Hemphill pubblicò un disco chiamato Dogon A.D. che è un’eccellente sintesi di quel che fino ad allora il Free aveva espresso e quel che poi sarebbe accaduto: ha pure il pregio di essere relativamente fruibile.
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Julius Hemphill
​Originariamente costituito da tre brani (nella recente ristampa in CD inserito un altro di venti minuti) e suonato da altri tre strumentisti oltre al leader al sax alto e flauto: Baikida EJ Carroll alla tromba, Abdud Wadud al violoncello e Philip Wilson alla batteria (nel brano aggiunto c’è pure Hamiet Buiett al sax baritono). 
Con questa ridotta e particolare strumentazione coniugano in modo sapiente e fluido suggestioni di rituali ancestrali e tanto moderne quanto “libere” affabulazioni.
La peculiarità aggiuntiva è che pure nelle circostanze più concitate non si avverte quella sorta di trafficante confusione cittadina, da civiltà industriale, quella mineralizzazione urbana di grandi palazzi e case che sovente nel Free jazz si ravvisa, ma una diffusa e organica ariosità. Almeno per me.
 
Buoni - per quanto non facili – ascolti.

​* Lennie Tristano, Charles Mingus, ma ancor più Sun Ra, ebbero a tratti nella loro musica forti elementi Free, anche scorrelati dall’influenza di Coleman.
** Zorn è colui che ha congiunto di più il Free jazz col Punk e derivati.
*** Punk jazz è il titolo di un brano scritto da Jaco Pastorius pubblicato nel disco del 1978 dei Weather Report, Mr. Gone; non ha a che fare col Free o col Punk.
**** In questo è assimilabile alla dodecafonia atonale-seriale di Arnold Schoenberg. 
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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