Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Differenza tra semplicità e banalità: il "caso" dei Toto

10/4/2025

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Una cosa semplice significa che non è né complessa né complicata, non astrusa, ossia costituita da non molti elementi e non particolarmente difficili - intellettualmente e culturalmente - da esser pensati, ideati o connessi.
Nessun dubbio che un brano di successo sia caratterizzato da semplicità: è storia.
Anche la “vetrina” è fondamentale; anzitutto l’”oggetto” deve essere esposto, e in modo efficace e per un tempo adeguato.
Stabilito ciò, le variabili di questi due fattori (semplicità e “vetrina”) sono molteplici, e specialmente il secondo può variare da periodo a periodo; quest’ultimo non è né facile né il caso di affrontarlo: non è il mio mestiere.
​Quel che invece è afferente specificamente alla musica e che ritengo sia utile è individuare cosa significhi in termini pratici “semplice”, e cosa lo distingua da banale, scontato, prevedibile, abituale ecc., perché spesso i brani di successo hanno pure un rilevante tasso di banalità.
Già nei sinonimi di banale si può cominciare a distinguere banale da semplice*.
Una cosa semplice che non è abusata - quindi non abituale o comune - non è molto prevedibile, scontata, dunque non è banale.
​
La canzone** Africa - grande successo dell’importante gruppo rock dei Toto - è un ottimo esempio di amalgama tra semplicità e banalità; quindi analizzando la sua composizione, ancorché in modo lieve, si possono trarre utili sintesi.
Cominciamo dalla fine, poi approfondiamo un po’ argomentando.
Armonicamente e metricamente (come strutturazione interna delle sezioni e numero di misure) è più semplice che banale, mentre ritmicamente e melodicamente è più banale che semplice (come nel complesso la sua forma e i suoi timbri).

Africa (velocità media) è costituita soltanto da tre sezioni: introduzione, strofa (A) e ritornello (B); l’introduzione è sfruttata anche come parte conclusiva delle strofe, come ponte di raccordo e come coda. La cronologica forma di Africa:
Intro - A - B - ponte - A - B - ponte - A - B - ponte - A (strumentale) - B - B – coda.
​
Prima di approfondire, una cosa importante: il groove ritmico di Africa è dato esclusivamente da un loop di una misura registrato dalla batteria (Jeff Porcaro) e dalle percussioni (Lenny Castro)***, i primi due secondi della ritmica del pezzo sono replicati continuamente. Peraltro, il groove è basico e si manterrà costante per tutto il brano.
L’Intro (a 10’’) è come una specie di riff di due misure di 4/4 (8/4) divise in due porzioni: la prima con tre accordi di sinth di David Paich (rinforzati da una marimba – Joe Porcaro) di 3/4 in tonalità di DO# minore, poi con una risposta melodica pentatonica di 5/4 (ancora sinth ma con un suono che emula un tipico strumento africano, la kalimba).
Questa “risposta”, nella tessitura medio-alta, è serrata ed è costituita da poche note reiterate (similare ai riff, ma nella tessitura grave, del basso di Stratus di Billy Cobham o di Billie Jean di Michael Jackson).
A 31’’ la strofa cantata (Paich), l’armonia non solo modula in SI ed è lunga in totale 18/4 (invece di 16/4 della norma), ma è pure divisa in 8/4 + 6/4 + 4/4, ove quest’ultima partizione faceva parte dell’Intro****. D’altronde, siccome tutti metri pari, con il loop iniziale di 4/4 nessun serio problema di “quadratura”*****.
Tutto molto semplice, ma non banale.
Nondimeno la melodia cantata lo è alquanto: poche note, contigue e senza particolari ritmi (con un tono rilassato quasi da crooner).
Il ritornello (1’16’’) modula in LA (ma la sequenza accordale è convenzionale e soltanto di due misure), ed è lanciato da un fill di batteria - la quale finalmente entra nel brano (sovrapponendosi al groove del loop).
La melodia (cantata da Bobby Kimball) è ridotta a un breve motivo però è alzata di ottava e ha un deciso cambio di mood; rinforzata da cori estesi (con pure melismi e abbellimenti solistici) e aggiunte di strumenti, compresa (nella variazione finale fungente da raccordo per il ponte) una chitarra elettrica col timbro distorto che fino ad allora non era presente.

Tutto si ripete pressoché uguale, senza variazioni significative, solo un’ultima annotazione per la parte strumentale a 2’57’’di flauto e marimba (forse anche tastiere), perché non comune la presenza in pezzi di questo tipo.
È breve e basata sulle armonie della strofa (A), sorta di solo ma interamente scritto e con le note armonizzate parallelamente; intervento incalzante con poco respiro, a ottavi (prima “dritti” poi terzinati) e frasi molto scalari, a progressioni e note ribattute, piuttosto classicheggiante. La presenza non è banale, la parte in sé abbastanza.

Insomma, questo brano a fronte delle modulazioni armoniche e le partizioni in alcuni settori non così comuni, conferma che molti brani di successo****** hanno spesso qualcosa di semplice ma particolare, e ciò li può rendere meno consumati dal tempo e dalle centinaia o migliaia di volte che sono da noi ascoltati.

​ 
* Una cosa banale è (quasi sempre) semplice, ma non è necessariamente vero viceversa.

** Anche i testi, specialmente in alcuni contesti, possono contribuire al successo di una canzone.

*** Le congas sono l’elemento predominante del groove (la batteria esegue un elementare backbeat), poi qua e là campanacci ecc. per rendere l’introduzione più vivace e meno “robotica”, e nei ritornelli (B) sovraincisioni di Jeff Porcaro che si sovrappone al groove del loop.

**** L’ultima strofa prima dei ritornelli è “quadrata” in 16/4.

***** A ben ascoltare il ritmo delle congas inverte gli accenti metrici: alternativamente nel primo giro della strofa il loop accenta il terzo e quarto movimento, nel secondo giro accenta il primo e il secondo, e così via.
​

****** Wuthering Heights di Kate Bush è uno di quei pochi brani di successo che ha molte cose semplici, qualcuna pure non semplice, e nessuna banale.
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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