Pur tralasciando gli aspetti più specialistici e tecnici (che si possono trovare negli approfondimenti fatti nei miei libri Tecnologia Musicale, Viaggio all’interno della Musica e Quaderni Musicologici), tentiamo di comprendere cosa significhi, affrontando l’argomento in maniera tale da intendere correttamente cause ed effetti del “tocco” musicale.
Questo permette a ognuno di distinguere il suono di un flauto da quello di una chitarra, un tamburo, un pianoforte…
Ma anche tra un tipo di chitarra e un altro, e tra l’identica tipologia di strumento però suonato diversamente.
Financo dello stesso musicista nella stessa esecuzione tra un passaggio e un altro, a fronte di un diverso tocco, si possono percepire effetti sonici differenti (pure delle stesse note).
Il profilo d’inviluppo è (per chiarezza) segmentato in 4 fasi: attacco, decadimento, sostegno e rilascio (ADSR). Ogni strumento ha insito un potenziale profilo*; una chitarra ha un attacco più rapido di un flauto….
L'alterazione (pure artificiale con mezzi elettronici) da parte dello strumentista di queste 4 fasi d'inviluppo determina le articolazioni musicali (legato, staccato, portato, glissato ecc.), che sono procedure operative (tecniche) di soluzioni di continuità applicative per passare da un suono all'altro: si forzano le "naturali" evoluzioni d'inviluppo degli strumenti, per ottenere una transizione tra i suoni che permetta un fluire musicale nello sviluppo delle frasi, definendo così lo stile esecutivo-espressivo di ognuno.
Quest’importantissima interpretazione individuale è chiamata pronuncia, e dà appunto il carattere a ogni parte musicale.
Il timbro è la qualità di un suono (“colore”) che lo rende distinto da un altro anche a parità di altezza e intensità, procurando così una sensazione sonora molto differente: è dato dallo spettro armonico ed è statuito dalle sempre differenti distribuzioni di energia delle armoniche (e dal suo profilo d’inviluppo).
Ciò può dipendere pure dall’azione del musicista: egli può variare ulteriormente il timbro potenziale e insito dello strumento, rendendolo più individuale e caratteristico anche nota per nota.
Dunque, è primariamente il “tocco” del musicista a rendere peculiare e soggettivamente espressiva una parte musicale, e ciò è possibile anche a parità di note, ossia dal formale contenuto della parte.
Per gli strumenti acustici il potenziale dinamico-timbrico è predeterminato, quindi si sceglie l’esemplare e si opera su quello: si può optare per quello di un violino, sax, chitarra o pianoforte, a fronte delle sue caratteristiche di scurezza/chiarezza timbrica e capacità di restituire l’ampiezza dinamica dell’energia applicata.
Per gli strumenti elettrici - specialmente per la chitarra - ciò è meno importante, lo è più quel che si fa dopo, manipolando elettronicamente i suoni, giacché in maniera potente si può alterare quel che in nuce è dato.
E ciò che fa la differenza sostanziale, che ha fatto la storia e la fortuna di molti chitarristi (e gruppi), è il suono distorto.
Dagli anni Sessanta del Novecento si è diffuso sempre più e rapidamente: il timbro distorto è saturo di armoniche, quindi, oltre a essere già straordinario, mediante il "tocco" lo si può ancor più caratterizzare.
All’alba dei Settanta le dotazioni erano molto limitate, e i chitarristi si davano un gran daffare per ottenere personalità timbriche; nei decenni successivi, a fronte di un esponenziale sviluppo elettronico, le possibilità sono aumentate moltissimo; a oggi illimitate.
Tuttavia, paradossalmente, forse pure a causa di questo, da parecchio tempo c’è un’omologazione timbrico-esecutiva, un appiattimento, esiziale.
I musicisti moderni e contemporanei dopo aver scelto una sorta di sagomato sonoro lo suonano come fosse inalterabile, senza significative dinamiche e tocchi particolari, che invece offrirebbero quella profondità sonica, quello spessore musicale, che fa davvero la differenza, che dona espressività e personalità.
Pertanto, facendo la tara al denotativo contenuto delle parti in sé (le note e i ritmi) spesso carente di creatività, l’aspetto connotativo è dato soltanto dal sagomato timbrico (più o meno aggressivo quindi distorto-chiaro/scuro) e dalla velocità di esecuzione.
C’è un omogeneo flusso di suoni senza tridimensionalità, e ciò a causa del tocco, che non ha alcuna peculiarità: “toccano” le corde in modo asettico, senza così una personale pronuncia (inviluppo dinamico) e ottenere importanti sfumature timbriche (al netto dell’uso di device elettronici - wha wha, univibe, octaver ecc. - che comunque pure all’epoca erano impiegati).
Ormai è invalso suonare “a macchinetta”, scelto il genere e lo stile e quindi i pattern, chop e lick più in voga, giù a emettere note bidimensionali, schiacciate da un neutrale tocco senza identità.
Le note sono tutte uguali, anzi, sembra che si temano le diversità dinamico-timbriche (e ritmiche), come fossero errori.
E questo non solo nel Rock e dintorni, ma anche nel Jazz.
Sorprende l’incoerenza del diffuso apprezzamento di questa deriva da chi magnifica e ha nostalgia delle musiche e musicisti precedenti - che avevano tutt’altra estetica e poetica - lamentandosi al contempo dei tempi moderni e attuali.
Ma sono proprio questi che hanno generato ciò.
* Gli strumenti si suddividono in due categorie: a evoluzione libera, in cui l'esecutore dopo aver fornito l’energia iniziale non può influire sull'evoluzione dinamica del suono - che diminuisce gradualmente fino all'estinzione (pianoforte, strumenti a percussione) – se non decidere d’interromperlo; e ad evoluzione controllata in cui l'esecutore deve sempre fornire energia per mantenere il suono, però così può a suo piacimento variare in modo continuo l’inviluppo (strumenti ad arco e a fiato, voce).