Fra poco devo uscire di casa e attraversare la città, e cosa comune a chi è nato e cresciuto in una metropoli è la rassegnazione al dispendio di risorse di ogni tipo per l’impresa… E uno dei brani che sin dall’inizio più mi colpirono di Jimi Hendrix fu il brevissimo Crosstown Traffic (contenuto nell’album Electric Ladyland del 1968), senza nemmeno un accenno di assolo di Jimi. Forse mi immedesimai col titolo, sicuramente il suo trascinante andamento mi piacque tantissimo.
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Talvolta accade d’innamorarsi; e un po’ sorprendersi. Ci si stupisce perché quella realtà che ci ha conquistato è lontana dai nostri gusti nel tempo acquisiti e ormai stabilizzati. Sì, certo, un interesse o anche un’infatuazione è talvolta avverabile; ma un vero innamoramento… Però si sa, il “lontano” attrae, e talvolta è un magnete così potente che trattiene e rapisce. Rock semplice e cantato, stile USA, non mi è vicino, anzi, eppure dopo il primo ascolto di Pacific Ocean Blue di Dennis Wilson, batterista, cantante e autore (fratello minore del grande Brian Wilson e componente dei Beach Boys), ho subito provato interesse. Poi me ne sono infatuato. E più lo ascoltavo e più ne ero attratto. Innamoramento sorprendente. Ma a pensarci meglio, non è la prima volta che ci casco…
Tratto dal libro 📙 Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra C’è un signore inglese, il chitarrista elettrico per eccellenza, che è il protagonista di uno strano caso: Jeff Beck. La carriera di Beck inizia a metà anni Sessanta e subito si distingue da tutti gli altri chitarristi elettrici perché non così incline allo stile rock-blues e ai suoi piccoli cliché che, soprattutto diffusi dai tre grandi King (BB., Albert e Freddie), stavano fecondando la stragrande maggioranza dei giovani seicordisti, compreso, anzi, soprattutto, il suo compagno d’armi negli Yardibirds: l’ottimo Eric Clapton.
Tratto dal libro 📙 Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra La maggior parte degli appassionati conoscono Steve Lukather (chitarrista, cantante e autore) come un importante membro dei Toto, ma pochi sanno che è stato tra i chitarristi più studiati dai professionisti… Ciò perché Lukather, sin dalla sua comparsa al proscenio col primo disco dei Toto nel 1978, si fece notare per il suo lavoro discreto (se confrontato con il guitar hero emergente dell’epoca Van Halen) ma efficacissimo nell’economia di un gruppo giacché strumentista che svolgeva una funzione pressoché completa di molte parti chitarristiche elettriche; anche quelle di accompagnamento “pulito” (senza distorsione timbrica), con suoni e soluzioni ammalianti l’attento ascoltatore.
L’appassionato musicale ha una percezione alquanto alterata del ruolo del produttore di dischi. Se il normale ascoltatore mediamente non lo considera (vuoi perché non sa di questa figura, vuoi perché probabilmente immagina sia semplicemente qualcuno che stampi e distribuisca dischi), l’appassionato che si informa tramite riviste musicali ecc. mediamente attribuisce al produttore eccessiva influenza in relazione all’esito “artistico” di un disco.
Nella storia del Rock non di rado è capitato che alcuni musicisti della prima fase di straordinari gruppi, per varie ragioni, siano stati sostituiti, e i loro successori ben accolti e rammentati. Di più, alcuni di questi musicisti, al netto delle inevitabili “sparate” dei fan, comunque alquanto sovrastimati e celebrati. Barriemore Barlow (Birmingham, 10 settembre 1949), il batterista dei Jethro Tull della loro era progressive (da Thick As Brick del ’72 a Stormwatch del ’79), fu ben accolto, ma non molto rammentato né giustamente stimato, anzi.
Quel meraviglioso ed enorme vortice di onde di energia qual è la musica per me è stato sin da subito una specie di radar che mi ha aiutato a orientarmi nel mondo: mi segnalava i profili e i colori della realtà circostante. Divenne anche un sonar per scandagliare in profondità; di conseguenza ho vissuto. E così tuttora vivo. Talvolta nella mia testa l’eco della musica mi fa come intravedere nel buio la coda di un segreto sul punto di svelarsi, ma che gira l’angolo e sparisce, inafferrabile. Come un sogno che sta svanendo e che si cerchi di rammentare… Tuttora lo cerco.
Sovente in musica si ha come l’incanto del cerchio. È proprio la netta percezione di semplicità offerta dal seguire senza alcuna difficoltà quell’unico costante tratto della sua perfetta traiettoria nello spazio, che cela ulteriormente il fatto che per le operazioni di calcolo determinanti le sue proporzioni è necessario ricorrere a una particolarissima chiave matematica (π). D'altra parte in tutti i campi l'esplicita complessità diffusamente affascina. Desta interesse, meraviglia; indica sapienza, suscita se non passione perlomeno stima e rispetto. La complessità di per sé segnala competenza in quel dato settore ove si manifesta, propone evoluzione giacché è logicamente atta ad ampliare le potenzialità creative: moltiplica le opportunità di essere originali. Naturalmente anche in musica accade ciò, da Bach a Zappa, dal Progressive al Jazz-rock, da Stravinsky e Schoenberg ai Weather Report e, per arrivare ai giorni nostri, Dream Theater sono tutti artisti e generi che hanno esplicite complessità nei loro brani.
Ho letto di cose musicali sicuramente prima di suonare; per certi versi anche prima di ascoltare. Era intorno alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, io ragazzino, studente delle scuole medie, cominciavo ad appassionarmi di musica. Ne girava tanta, ma non tanta come oggi, solo migliore. Non ero certamente isolato, parecchi adolescenti a quell’epoca ascoltavano con fervore gruppi e musicisti, solo che ben più di altri ero un avidissimo lettore di riviste musicali. Approfittavo del fatto che mia madre lavorava in un’agenzia di servizi stampa, perciò in casa giravano un sacco di pubblicazioni… Continuò per oltre un decennio; le collezionavo, ne ero sommerso. Contemporaneamente avevo iniziato a studiare musica e chitarra.
Da un po’ di tempo dall'editoria nazionale musicale è inviato qualche segnale differente: alcune iniziative di libri sul Rock che vanno oltre la solita aneddotica, spesso agiografica, tentando, giustamente, sintesi sulla musica di questi gruppi e musicisti sulla base di analisi musicali. Serie sintesi, ossia descrizioni e giudizi, non ci possono essere senza accurate analisi (e prospettive storiche). Un libro sui Van Der Graaf Generator e un altro sui Gentle Giant, preferendo quest’ultimo, li consideriamo un buon segnale. Poi ne sono giunti alcuni su uno dei più amati e stimati gruppi in assoluto: i King Crimson. E qui approssimazioni, contraddizioni ed errori in misura esagerata. Un accanimento contro i KC, cerchiamo almeno un minimo di riparare…
Nel Rock di solito si riesce con poco a fare molto. E di là di alcune articolate e difficili composizioni suonate benissimo, è affascinante quando alcuni rocker con pochissima materia musicale, similarmente ai jazzisti (che suonino Fusion o altro), riescono a generare musica interessante. E due gruppi in particolare si sono distinti ai massimi livelli in ciò: Pink Floyd e King Crimson. Il primo in un ambito di meravigliosa suggestione, oscillando tra canzoni da falò e incanti estesi e magmatici: musiche che sembrano facili da realizzare ma in realtà alquanto complicate… L’altro in un ambito quasi opposto, ossia di nobilitare a somme altezze sostanze che in nuce sono alquanto plebee, sofisticandole in maniera così straordinaria che esternamente sembrano musiche complesse nell’essenza.
L’eccentrico, lo strumentista e il “leggero”; l’esperto, il frontman e l’inglese. David Crosby, Stephen Stills e Graham Nash. Un triangolo strano, un rischioso accostamento di individualità (i brani sono in sostanza tutti firmati singolarmente) che appena dopo trovò un quarto lato (Neil Young) senza perdersi, anzi, un ulteriore punto che sarà cardinale per ampliare gli orizzonti del loro già principesco Rock.
Negli anni Sessanta del secolo scorso è nato il Rock, e sul finire di quel decennio già voleva diventare grande. L’elemento di sviluppo strutturale più importante fu quello di progredire mediante l’alterazione della forma canzone, ovvero, in fase compositiva, di accumulare un più grande numero di sezioni rispetto al paio di ossatura che erano di norma presenti nei brani e che ciclicamente, e quindi in maniera continua, erano esposte (con un’introduzione e un finale sovente in sfumando); anche quelli del Jazz e dintorni avevano questo semplice assetto.
La stragrande maggioranza dei brani di successo sono più che semplici, però quelli che si usurano meno, diventando dei “classici”, spesso hanno delle caratteristiche occulte. Questo è il loro segreto: avere dei segreti. Il piano su cui sono erette la stragrande maggioranza delle musiche di successo è quello assiale dell’occidentale “tonalesimo” con la parificazione ritmico-metrica, pertanto tutto ciò che devia da questo, con vari livelli di gradualità, struttura ulteriori tensioni e quindi rende più dinamica la forma. Anomalie creative.
Il 19 febbraio 1971 gli Yes pubblicano il loro terzo disco The Yes Album. Il gruppo inglese riparte da questa importante opera dopo due dischi più che buoni (Yes e Time And A Word) pubblicati precedentemente, interessanti sotto vari profili. Entra in squadra Steve Howe al posto del pur bravo Peter Banks. Howe sarà colui che incarnerà il chitarrista di riferimento in quanto a versatilità ed espressione “pirotecnica” sia per quanto concerne i generi e stili chitarristici sia di suoni e modi d’impiego della chitarra (e i suoi derivati cordofoni: lap steel, mandolino ecc.). E’ il chitarrista di stile più schiettamente americano di tutti i suoi coevi colleghi. Howe contribuirà anche come compositore. (All'opposto questo disco sarà l’ultimo del tastierista Tony Kaye, sostituito da Rick Wakeman dal successivo disco Fragile)
Black Dog, uno dei brani di maggior successo dei Led Zeppelin, apre il loro quarto disco (Zoso) pubblicato nel 1971. È musicalmente un pezzo paradigmatico, quindi interessante.
Nulla in musica è casuale o effetto di qualche fulminazione divina; anche ai più bassi livelli è necessario un progetto e una messa in opera che solo dopo anni di specifico apprendistato cognitivo e strumentistico può produrre decenti risultati. Però è fuor di dubbio che il Rock in tal senso è un genere efficientissimo, soprattutto quello a grandissima trazione chitarristica, di derivazione più schiettamente Blues e R&R: con pochissimo si ottiene moltissimo. Impatto formidabile, affascinante.
Tratto dal mio libro Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra
Frank Zappa è stato un chitarrista elettrico tra i più importanti in assoluto. In particolare il suo linguaggio musicale solistico è stato molto creativo: fu esplorativo sia nella sostanza (le note in sé) sia nella forma (l’articolazione tecnico-espressiva).
The Alan Parsons Project è stato un gran gruppo rock, eppure, facendo la tara al successo di massa conseguito (in particolare con alcuni dischi), non venne adeguatamente considerato dalla critica; nonché dalla maggioranza dagli ascoltatori più attenti e appassionati del Rock più “alto”.
Solitario, delicato, intimo Peter Hammill sull’orlo dei settant’anni, si presenta con questo From The Trees soltanto con la sua voce e chitarra acustica o pianoforte, e basso (ma non in tutti i brani); sovente sostenuto da cori e con qualche screziatura di altri strumenti, glissati elettrici o pennellata di tastiere di sfondo, ma rigorosamente senza alcuna esplicita pulsazione ritmica di batteria o percussioni.
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Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Aprile 2024
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