Sulla scena da oltre trenta anni lo statunitense Trent Reznor coi suoi Nine Inch Nails è tra gli artisti più notevoli di questo tempo. È stato diffusamente incasellato in un’area musicale Industrial-Metal elettronica e “alternativa”, e pure, finanche, contigua all’area Pop-Dance; dunque una specie di campione postmoderno del moderno.
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È noto che il secondo disco dei King Crimson In The Wake Of Poseidon uscito solo sette mesi dopo quello di esordio (In The Court Of The Crimson King) è stato concepito e realizzato tra dissapori all’interno del gruppo; con Greg Lake, Mike Giles e Ian McDonald in via di uscita (abbandonarono dopo la registrazione del disco)*.
Sono passati molti anni dalla pubblicazione del disco Street Fighting Years dei Simple Minds, uscito l’8 maggio 1989. Un’enormità di tempo relativamente al Rock e Pop; in generale a tutta la musica moderna, ossia quella nata nell’era elettrica del Novecento. Nel Rock e Pop elettrico (includendo lateralmente anche gli altri generi e stili affini, Hard Rock ad esempio) impressiona particolarmente come il tempo sembra scorrere: da un lato più velocemente, dall’altro lentamente; se non addirittura tornare indietro.
Avrò avuto suppergiù 14 anni quando ascoltai per la prima volta The Wind Cries Mary, e mi piacque subito, come a milioni di ascoltatori prima di me. La sensazione che ebbi fu di una canzone dolce ma forte, vigorosa e non smielata. E continuò a offrirmi questa impressione, sempre. Anche oggi è così. Già sapevo chi fosse Jimi Hendrix, la sua enorme fama e stima presso quelli più grandi di me che ci capivano di musica… D’altronde in quei tempi stavo imparando a suonare la chitarra, tentavo di informarmi e di Hendrix conoscevo altri brani e visto molti filmati.
Attribuii quella sensazione di virile romanticismo al suo modo di cantarla e suonarla la canzone, e per tanti anni la pensai solo in questa maniera: in parte è davvero così, ma non è la parte più rilevante. Who, Genesis, Bach, Gentle Giant, Pink Floyd e Monteverdi sono alcuni tra i nomi più importanti legati da una linea rossa, nemmeno troppo sottile… Nel corso della storia della musica occidentale sono state combattute molte guerre e battaglie sanguinarie. A oggi la guerra più decisiva è quella scoppiata in Italia nel ‘600 che vide coinvolti i fautori della restaurazione del primato del testo e della semplicità melodica, del “recitar cantando”, sulla musica più complessa e raffinata che poco evidenziava le parole e che era da molti considerata un’algida esibizione intellettuale.
Probabilmente qualche appassionato nel corso della sua carriera di ascoltatore si è domandato come mai i due mondi musicali Jazz e Rock siano stati e tuttora siano pochissimo comunicanti; il fenomeno investe entrambi i lati: hanno delle difficoltà l’uno verso l’altro, seppur per motivi diversi. Comunque il lato più estromesso è quello del rocker verso il Jazz; viceversa è più un disagio che un’esclusione.
Il 29 maggio 1992 moriva a Madrid lo straordinario chitarrista britannico Ollie Halsall. Era nato a Southport il 14 marzo 1949. E' stato membro dei Patto e dei Tempest e aveva collaborato a lungo con l'ex Soft Machine Kevin Ayers.
Un po’ tutti gli ascoltatori dall’impronta quasi fisica del “primo ascolto” di un brano e quindi di un disco ne traggono la sintesi; il "mi piace/non mi piace" è strettamente correlato e interdipendente da quella percezione degli aspetti sovratrutturali: un minimo di forma e colori del “testo”, la sua esteriorità. In seguito chi vuole, a seconda delle proprie capacità, può condurre un’analisi degli aspetti strutturali ossia cosa c’è scritto nel testo, e pertanto conseguire ulteriori sintesi che vanno a integrare, più o meno riformandole, le prime.
A me è capitato tantissime volte, ve ne racconto una. Anno Domini 1980, Pino Daniele con soltanto tastiere, basso, batteria e la sua voce (ed esigue sovraincisioni) ha realizzato uno dei suoi brani più famosi: A Me Me Piace 'O Blues. Oggi viviamo un tempo di forti contaminazioni culturali, pertanto molte radici dei vari popoli si sono mischiate, innestate e sviluppate in folti rami. Tuttavia non solo fino a pochissimi decenni fa non era così, ma di certo non si può ancora affermare che le diversità e differenze culturali e artistiche si siano azzerate, omogenizzate in un super polpettone post moderno. In musica non è una mera questione di stile e superfici, ma al contrario qualcosa che va parecchio in profondità e indietro nel tempo.
Steely Dan, attivi discograficamente per nove anni dal 1972 al 1980 pubblicando sette opere*, è il nome che cela un duo di grandi songwriter statunitensi, Donald Fagen (voce e tastiere) e Walter Becker (chitarra e basso), innamorati della chitarra elettrica e del Jazz. Per i primi due dischi (Can't Buy a Thrill e Countdown to Ecstasy) era, in effetti, più un gruppo che un duo con session-man al loro servizio (alcuni di gran rango), come fu dal terzo disco (Pretzel Logic) in avanti.
Per il lato formale gli Steely Dan sono quasi sinonimo di alcune caratteristiche, mentre per quello musicale, a fronte dei molti influssi, piuttosto nebulosi: cerchiamo di chiarire. Avevo all’incirca venti anni quando m’innamorai di John Coltrane. All’epoca già suonavo da parecchio tempo e studiavo teoria da un po’, ma ero interessato ad altro, molto più vicino al Rock. Coltrane l’ho conosciuto a casa di un amico che ogni tanto faceva suonare un paio di dischi della sorella (che aveva qualche anno più di noi); poi logorai il nastro in cassetta che mi feci registrare da loro: sorta di antologia dei suoi brani più noti. Rammento che vi erano Dear John, My Favourite Things e Naima, i miei preferiti di allora; c’erano anche Giant Steps, Mr P.C., Acknowledgement, Blue Train, Afro Blue… Come resistere?!
Come già accennato nel precedente articolo, gli assoli musicali sono una porzione importante di musica, anche perché, tanto banalmente quanto brutalmente, aggiungono moltissime note al brano.
Ammettiamolo, l’assolo di chitarra è roba da vecchi. Un tempo tutte le canzoni ne avevano uno, ma oggi sono in via d’estinzione. Perché la chitarra solista è sparita dal mainstream? Così recentemente un articolista sulla rivista Rolling Stone; e ammonticchiando parecchio confusamente ed erroneamente alcune questioni e argomenti, non si è nemmeno risposto…* Però è vero, gli assoli di chitarra elettrica in special modo con timbro distorto un tempo erano più presenti nelle produzioni musicali; tuttavia la tendenza è iniziata moltissimo tempo fa**, non è cosa recente.
Verrebbe subito da chiosare considerando che storicamente nelle produzioni più disimpegnate, come quelle delle boy band, l’assolo è praticamente assente, pertanto far conseguire che più che indice di modernità la rarità di assoli è sintomo d’immaturità; e viceversa, altro che "roba da vecchi"… Ma approfondiamo un minimo. “È un rock bambino soltanto un po' latino una musica che è speranza una musica che è pazienza” Così il nostro grande Ivano cantava nella sua hit di 40 anni fa “La mia Banda Suona il Rock”: il cosiddetto latin-rock fu un termine coniato per inquadrare quella peculiare musica che i Santana dal festival di Woodstock in poi diffusero nel mondo. Nei loro primi tre dischi (Santana, Abraxas e Third) in pratica c’è già tutto di questa particolare mescolanza: un’effervescente musica apparentemente tanto semplice, cantabile e sovente ballabile, quanto strutturata e innervata di finezze compositive ed esecutive.
I britannici Supertramp esordirono nel 1970 con l’omonimo disco, nel quale, ad atmosfere di raffinato Progressive, innestarono qualche sprazzo più aggressivo, melodie accattivanti e più asciutte (quasi pop) e qualche buon intervento solistico, pure di chitarra. Dopo il buon Indelibly Stamped (’71) e ben tre anni di “silenzio” pubblicarono il loro capolavoro Crime Of The Century (’74); seguirono l’ottimo Crisis? What Crisis? (’75) ed Even in the Quietest Moments... (’77), molto virato verso il pop-rock. Nel 1979 il loro sesto disco, il best-seller Breakfast In America. Già erano una band di successo, ma questo album fu in tal senso un vero evento discografico.
Era la prima volta che entravo in quel negozio di dischi che stava in un quartiere centrale di Roma; era una sera d’inverno di oltre venti anni fa. Fu anche l’ultima, tuttavia me lo ricordo bene, era in via Fabio Massimo: accogliente, ben illuminato e arredato. Cominciai a guardare tutt’intorno: parecchi dischi; mi dovevo ambientare… Iniziai a rovistare, però dopo poco gli occhi guardavano ma non vedevano: stavo drizzando le orecchie come parabole alla ricerca del segnale giusto, per captare meglio ciò che il negoziante stava facendo risuonare nell’ambiente. Era molto particolare, nemmeno riuscivo a ipotizzare chi potesse essere; era una musica bizzarra, con molti silenzi.
Dopo un po’ s’insinuò la voce di un cantante: poche sillabe con angolari traiettorie melodiche. Rese ancora più stravagante l’atmosfera. Kashmir è uno dei brani più famosi dei Led Zeppelin e quindi del Rock tutto. Kashmir è stato composto nella massima traiettoria zeppeliniana ossia tra il 1973 e il ’74 (anno di registrazione) ed è stato pubblicato nel 1975 nel doppio disco Physical Graffiti. Kashmir è un brano paradigmatico dell’arte dei LZ (e del suo dominus Jimmy Page).
Nel Rock quel che l’ha fatta da padrone è l’impatto energetico delle performance, dei suoni e degli epici assoli. Tutto ciò ha messo in ombra ciò che invece fa grandemente la differenza tra questo genere e tutti gli altri, compreso il Jazz: l’aspetto formale-strutturale e quello ritmico-metrico. Organiche arguzie compositive non colte o messe correttamente in risalto anche dagli “addetti ai lavori”, dunque non favorendo una stima migliore del Rock.
E per rintracciarle non c’è necessità di setacciare le musiche che comunemente sono avvertite come più nobili (Progressive e dintorni), con brani lunghi, ridondanti e manifestatamente complicati… La rapidità (e nettezza) esecutiva è spesso (a torto) l’unico fattore di riferimento col quale si stima l’abilità tecnica di un musicista. Ma è solo il parametro più elementare e “vistoso” (peraltro come “endemico”) della costellazione tecnica costitutiva la galassia musicale. Questa velocissima frase costituita da più di 20 note in meno di 2 secondi fa riflettere in più aspetti. Potrebbe essere di Charlie Parker o John Petrucci, ma non è così, è suonata da un musicista che certamente dai più non è considerato un granché a livello tecnico. Nondimeno in quel 1991 di certo era tra le fasi peggiori della propria carriera artistica e “commerciale”.
Si sa che i giovanissimi componenti dei Beatles erano entusiasmati dalla musica americana, dal rhythm and blues al rock and roll ai loro ascendenti e derivati: presero le mosse da ciò per sviluppare le loro opere che, dai primi anni Sessanta, cominciarono a sgorgare in Europa come una vigorosa linfa che creerà un’originale musica che a sua volta influenzerà praticamente tutti. E se all’inizio i Beatles erano dei giovani super talentuosi che stavano cercando di affermarsi elaborando un po’ ingenuamente gli esempi americani, solo pochissimi anni anni dopo nell’estate del bollente 1968 dall’alto della posizione massima già raggiunta, pubblicarono uno degli esempi in assoluto più semplici e popolari di elegante summa tra la musica americana e le loro avvenute maturità planetarie: Hey Jude. L’autore principale è Paul McCartney.
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Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Marzo 2024
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