Per il lato formale gli Steely Dan sono quasi sinonimo di alcune caratteristiche, mentre per quello musicale, a fronte dei molti influssi, piuttosto nebulosi: cerchiamo di chiarire.
Steely Dan, attivi discograficamente per nove anni dal 1972 al 1980 pubblicando sette opere*, è il nome che cela un duo di grandi songwriter statunitensi, Donald Fagen (voce e tastiere) e Walter Becker (chitarra e basso), innamorati della chitarra elettrica e del Jazz. Per i primi due dischi (Can't Buy a Thrill e Countdown to Ecstasy) era, in effetti, più un gruppo che un duo con session-man al loro servizio (alcuni di gran rango), come fu dal terzo disco (Pretzel Logic) in avanti.
Per il lato formale gli Steely Dan sono quasi sinonimo di alcune caratteristiche, mentre per quello musicale, a fronte dei molti influssi, piuttosto nebulosi: cerchiamo di chiarire.
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Sarà anche perché negli anni Novanta per la mia professione mi è capitato di suonare più volte alcuni brani di questa cantante, ma non è solo per affezione e nostalgia che voglio scrivere di Anita Baker, è perché da sempre ho nutrito grande stima verso lei e la sua bella musica. Penso sia stata un po’ dimenticata, nonostante abbia avuto un grande successo di pubblico e di critica.
Nel 1986 divenne famosa col suo secondo disco, Rapture, il suo capolavoro che includeva i successi Sweet Love e Been So Long; ha proseguito con una certa regolarità fino ai primi anni Novanta a produrre ottimi dischi e mietere successi. Ammettiamolo, l’assolo di chitarra è roba da vecchi. Un tempo tutte le canzoni ne avevano uno, ma oggi sono in via d’estinzione. Perché la chitarra solista è sparita dal mainstream? Così recentemente un articolista sulla rivista Rolling Stone; e ammonticchiando parecchio confusamente ed erroneamente alcune questioni e argomenti, non si è nemmeno risposto…* Però è vero, gli assoli di chitarra elettrica in special modo con timbro distorto un tempo erano più presenti nelle produzioni musicali; tuttavia la tendenza è iniziata moltissimo tempo fa**, non è cosa recente.
Verrebbe subito da chiosare considerando che storicamente nelle produzioni più disimpegnate, come quelle delle boy band, l’assolo è praticamente assente, pertanto far conseguire che più che indice di modernità la rarità di assoli è sintomo d’immaturità; e viceversa, altro che "roba da vecchi"… Ma approfondiamo un minimo. Eh certo, troppo facile con copertine e titoli! E che ci vuole a evocare fascinose terre esotiche popolate da tribù perdute, con viaggiatori misteriosi che passano nottetempo tra Gibilterra e Madagascar, approdare alla via insulare e poi circolare tra mercati negri sudafricani con sottobraccio il libro della giungla; mimare tanghi americani e danze del sole nubiane in affollate processioni, tra colorati carnevali e acquosi aneddoti caraibici. Certo, che ci vuole… Josef Zawinul, tastierista e compositore austriaco, da tempo aveva messo d’accordo un po’ tutti, appassionati e addetti ai lavori di tutti i generi musicali, che lui era l’apice di un percorso di ricerca tra l’essere uno strumentista e un compositore capace di mescolare ritmi, suoni, armonie e melodie di mondi differenti e allo stesso tempo catalizzatore di un’abilità assoluta che, a prescindere dal genere, è tanto paradigmatica quanto riconoscibile.
La sua figura, torreggiante, indica un eminente fare musica che travalica generi e gusti. Solo dei colossi si può dire questo; e non di tutti. In America, si sa, l’ibridazione è di casa. E (segnatamente negli USA) uno degli esiti è stato la nascita nel Novecento del Jazz e del Blues. Successivamente è capitato che il Jazz e il Blues siano ulteriormente mutati fondendosi con altro; e tra loro. Sono sorti altri generi e stili pure alquanto popolari cantati e ballerecci (R&B, Soul, R'n'R, Funk), e una somma condensazione di ciò, prevalentemente strumentale e “di ascolto”, è stata la Fusion, che a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 ha vissuto il suo parabolico decennio.
Quel meraviglioso ed enorme vortice di onde di energia qual è la musica per me è stato sin da subito una specie di radar che mi ha aiutato a orientarmi nel mondo: mi segnalava i profili e i colori della realtà circostante. Divenne anche un sonar per scandagliare in profondità; di conseguenza ho vissuto. E così tuttora vivo. Talvolta nella mia testa l’eco della musica mi fa come intravedere nel buio la coda di un segreto sul punto di svelarsi, ma che gira l’angolo e sparisce, inafferrabile.
Come un sogno che sta svanendo e che si cerchi di rammentare… Tuttora lo cerco. Pat Metheny è in assoluto tra i più grandi chitarristi-compositori contemporanei, ma io lo trovai all’inizio un po’ scialbo e antipatico.
Yellowjackets (=Vespe) è il curioso nome di uno tra i massimi gruppi della Fusion. Il primo nucleo vede il tastierista Russell Ferrante, principale compositore, il chitarrista Robben Ford, il bassista Jimmy Haslip e il batterista Ricky Lawson; poi a rotazione altri bravissimi strumentisti. Misero a segno un formidabile uno-due pugilistico con il loro primo disco omonimo nel 1981 e Mirage A Trois (il loro primo capolavoro del 1983), che l’imposero sulla scena internazionale già come dei moderni punti di riferimento; ebbero un discreto riscontro di pubblico.
Questo articolo è tratto dal libro 📙 Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra Lo statunitense George Benson (Pittsburgh, 22 marzo 1943) è un magnifico chitarrista jazz apparso sulle scene nei ’60. Il grande successo lo ottenne nei due decenni successivi spostandosi progressivamente verso una musica più facile, cantata (benissimo), finanche danzereccia. In particolare dal disco Breezin’ del 1976 e con l’apice di Give Me The Night del 1980, ma ha continuato fino a oggi a esser ben presente sia discograficamente sia in concerto. Ottimo esempio della sua fase più luminosa è il live del ’78 Weekend in L.A..
Questo articolo è tratto dal libro 📙 Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra Bill Frisell è il chitarrista che più congiunge, in modo creativo e quindi originale, moltissimi generi e stili, sia musicali sia prettamente chitarristici. Attivo discograficamente dai primi anni ’80 sia come leader di propri progetti sia come collaboratore di altri o semplicemente ospite in qualità di chitarrista.
Tratto dal libro Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra Robben Ford è uno dei massimi chitarristi fusion di sempre. E quando si tratta di Fusion non ci si deve riferire semplicemente a un raffinato stile strumental-borghese di colto Pop-funk venato di Rock, ma a un sofisticato genere che ha come matrice il Jazz, e quindi una importantissima e adulta radice musicale: se non si padroneggia la grammatica e la sintassi jazz non si può tessere un serio discorso di musica Fusion. Questa è la ragione per cui anche grandi chitarristi rock non hanno accesso a questo genere.
Il Blues è tra le meraviglie musicali del Novecento. Infatti, all’alba dello scorso secolo in Occidente, una delle novità musicali più importanti è stata proprio l’apparizione del linguaggio jazz-blues di matrice afroamericana, che si è affiancato e sovrapposto a quello classico-europeo.
I batteristi si dividono in due macrocategorie, quelli di scuola jazz e quindi tendenti a essere ariosi, aperti, elastici e pittorici, e quelli funk-rocker, più stretti, con suoni rapidissimi e quindi intrinsecamente percussivi ed esplosivi, meno “melodici” e più geometrici.
Che Joe Zawinul sia il tastierista più importante di tutti non è difficile sostenerlo; ma è comunque riduttivo rispetto a ciò che è stato musicalmente. Joe Zawinul è stato un artista speciale. Tastierista e compositore nato in Austria (Vienna) nel 1932, si trasferì negli USA e da qui prese avvio la sua carriera. Dapprima, a cavallo tra i ‘50 e i ’60, come collaboratore di grandi leader (Maynard Ferguson e Dinah Washington), proseguendo dal 1961 con la lunga militanza nella band dei fratelli Cannonball e Nat Adderley (suo il grande successo Mercy, Mercy, Mercy del 1966). Poi, a cavallo tra ’60 e ’70, con Miles Davis. Nel frattempo registrò alcuni ottimi dischi come solista; ma soprattutto diede avvio nel 1971 (insieme con Wyane Shorter e Miroslav Vitous) al gruppo dei Weather Report: il gruppo strumentale più notevole di tutti, insuperato in longevità, quantità e qualità di opere (ed esibizioni live).
Castello di Carimate, dintorni di Como, autunno 1979, si sta registrando il terzo disco del giovane ed emergente cantautore napoletano Pino Daniele, quello che lo proietterà nell’empireo della musica italiana: Nero A Metà. I dischi immediatamente successivi eleveranno Daniele ancor più, confermando che non solo è nata una stella, ma che splende sicura come quella polare; allo zenith. Il disco è intriso di qualità a tutti i livelli; sarà un capolavoro.
Jazz + vocalità + Funk = Fusion cantata. Semplice ed elegante. Semplice ed elegante come era lui; Al Jarreau è stato l’esempio più garbato e alto di interprete moderno che ha unito molte caratteristiche musicali con disinvoltura. Quando è apparso al proscenio, nel ‘75 con il disco We Got By, era già in fase avanzata quella fusione tra generi che, avendo l’ascendente principale nel Jazz, ha prodotto, dal versante più colto, musica popular di grana fine e profumo sofisticato. Lui incrementò l’inclinazione.
Ho iniziato a strimpellare rock sul finire degli anni ’70. Era il tempo in cui nei gruppi (di solito formati da due chitarre, voce, basso e batteria), chi mostrava di cavarsela con la chitarra meglio di un altro aveva il ruolo di solista, l’altro era delegato ad accompagnare. Ma le comitive, le compagnie di amici all’epoca erano formate da tante persone, e inevitabilmente c’era sempre qualcun altro cui sarebbe piaciuto entrare in una band… era a un bivio, il terzo strimpellatore chitarrista della compagnia: o suonava il basso, magari cantando, oppure portava bibite e panini e mestamente guardava… Allora i bassisti rock erano spesso dei chitarristi frustrati.
I Weather Report e i Soft Machine sono stati, tra i gruppi strumentali, quelli che più hanno influenzato i musicisti più preparati e desiderosi di andare oltre il Jazz e il Rock, non tanto a livello strumentistico quanto a livello compositivo. E in assoluto i più validi epigoni di questi sono stati gli italiani Perigeo (in attività tra il 1972 e il ’76); il capo del gruppo è stato il bassista-compositore Giovanni Tommaso, già apprezzato jazzista e turnista per dischi più commerciali.
Tratto dal libro 📙 Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra Nguyèn Lè è un eccellente artista, chitarrista-compositore franco-vietnamita; della generazione post fusion degli anni ’90 è forse il più noto, sicuramente il migliore. Sincero e coraggioso, sia nelle composizioni sia nei suoi interventi solistici, sempre di pregio e mai calligrafici, a suo agio tanto come esecutore in big band quanto come leader di progetti in duo o in trio.
La sua musica è ad alto tasso di originalità, Nguyèn Lè applica un moderno profilo di ricerca pure etnico, talvolta facendola confluire in un alveo virato al Jazz, altre volte virato alla Fusion e/o al Rock. Dopo il post di ieri su Mike Stern, sempre in tema di Fusion, credo sia necessario un piccolo approfondimento su cosa determini questo genere. È facile immaginare si tratti di un genere che ne misceli altri, ma quali e come? Per ottenere la musica che è passata alla storia come Fusion, dobbiamo tenere conto che essa si realizza davvero quando chi la compone e la suona è “bilingue”, ovvero in grado di padroneggiare la lingua Jazz e fonderla con quella Rock e dintorni, ovvero Heavy Metal, Funk ecc.
Tratto dal libro 📙 Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra Nell’era d’oro della Fusion (dai primi ’80 e per circa dieci anni) il chitarrista-compositore Mike Stern fu tra i musicisti più influenti e inneggiati. Stern è una specie di Charlie Parker che incrocia Jimi Hendrix e James Brown; il perfetto contraltare stilistico del sofisticato e pacato Pat Metheny: loro due furono i più importanti riferimenti tra i chitarristi e tra i più rilevanti in assoluto della musica strumentale dell’epoca, furoreggiarono.
Dagli anni Ottanta fino a oggi sono pochissimi i batteristi degni di nota, tra questi Dave Weckl. A partire dalla metà di quel decennio si distinse nel genere Fusion poiché, seppur nello stile diffuso all’incirca da metà dei ‘70 soprattutto per opera di Steve Gadd, Weckl ampliò enormemente quel linguaggio a fronte di una forma più serrata e precisa in quanto a distribuzione di colpi, sia nei ritmi esposti che nelle frasi di raccordo (fill), e nel sapiente inserimento dei ritmi del genere Salsa.
Da parecchi anni moltissimi ascoltatori hanno riscoperto il grande Rock degli anni migliori (‘60/70), pure quello meno grande; e quello piccino piccino, che comunque era presente in quel periodo. Tutti a incensare in modo più o meno indiscriminato dischi, gruppi e artisti di quell’importantissima area della musica del ‘900, però della musica Fusion (genere da non confondere con il Jazz-Rock, che fortunatamente ha ricevuto un po’ più di attenzione) si sono dimenticati un po’ tutti, anche i discografici: se del Rock ci sono da anni periodiche ripubblicazioni, spesso esasperate, confuse, stressanti, ridondanti e peggio che inutili, la stragrande maggioranza delle opere fusion non sono state ristampate nemmeno una volta. Si sa, è lo strano gioco mercantile della domanda/offerta, e tant’è… Ne consegue che i dischi fusion non si trovano o costano moltissimo; e una fetta importantissima di musica è spinta verso l'oblio. E mal gliene incolga!
Il basso è uno strumento di raccordo importantissimo tra gli elementi musicali, approfittando anche del suo range d'intervento polarizzante, posto all'estrema gamma di frequenza, costituisce un potente fattore musicale polivalente. Dunque è un formidabile fattore unificante: le parti che esegue ben si prestano a fondere quelle espresse dagli altri strumenti, coniugando in modo efficacissimo tutti gli elementi musicali (ritmici, melodici e armonici). Il basso definisce in modo peculiare la musica in tutti i suoi principi.
Forse diffusamente si ha l’idea che la scuola percussionistica afrocubana (che include anche la musica portoricana e dominicana, e genericamente chiamata Salsa) sia molto importante; bè, è LA scuola: è la più importante. Magari si arriva a immaginare che anche altri musicisti per esempio i trombettisti siano particolarmente bravi. E si avrebbe ragione (si distinguono anche flautisti e bassisti, tutti comunque inclini a potenti e complicati obbligati in unisono).
Ma forse non tutti sanno che la scuola pianistica cubana è straordinaria. In genere si distinguono per le eccellenti capacità tecniche di articolazione (velocità e controllo dinamico-ritmico) e per le linee melodiche tanto estemporanee quanto formidabili. Sono tendenzialmente brillanti e di “attacco”. |
Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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