Probabilmente qualche appassionato nel corso della sua carriera di ascoltatore si è domandato come mai i due mondi musicali Jazz e Rock siano stati e tuttora siano pochissimo comunicanti; il fenomeno investe entrambi i lati: hanno delle difficoltà l’uno verso l’altro, seppur per motivi diversi. Comunque il lato più estromesso è quello del rocker verso il Jazz; viceversa è più un disagio che un’esclusione.
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Oggi viviamo un tempo di forti contaminazioni culturali, pertanto molte radici dei vari popoli si sono mischiate, innestate e sviluppate in folti rami. Tuttavia non solo fino a pochissimi decenni fa non era così, ma di certo non si può ancora affermare che le diversità e differenze culturali e artistiche si siano azzerate, omogenizzate in un super polpettone post moderno. In musica non è una mera questione di stile e superfici, ma al contrario qualcosa che va parecchio in profondità e indietro nel tempo.
Steely Dan, attivi discograficamente per nove anni dal 1972 al 1980 pubblicando sette opere*, è il nome che cela un duo di grandi songwriter statunitensi, Donald Fagen (voce e tastiere) e Walter Becker (chitarra e basso), innamorati della chitarra elettrica e del Jazz. Per i primi due dischi (Can't Buy a Thrill e Countdown to Ecstasy) era, in effetti, più un gruppo che un duo con session-man al loro servizio (alcuni di gran rango), come fu dal terzo disco (Pretzel Logic) in avanti.
Per il lato formale gli Steely Dan sono quasi sinonimo di alcune caratteristiche, mentre per quello musicale, a fronte dei molti influssi, piuttosto nebulosi: cerchiamo di chiarire. Sarà anche perché negli anni Novanta per la mia professione mi è capitato di suonare più volte alcuni brani di questa cantante, ma non è solo per affezione e nostalgia che voglio scrivere di Anita Baker, è perché da sempre ho nutrito grande stima verso lei e la sua bella musica. Penso sia stata un po’ dimenticata, nonostante abbia avuto un grande successo di pubblico e di critica.
Nel 1986 divenne famosa col suo secondo disco, Rapture, il suo capolavoro che includeva i successi Sweet Love e Been So Long; ha proseguito con una certa regolarità fino ai primi anni Novanta a produrre ottimi dischi e mietere successi. Ammettiamolo, l’assolo di chitarra è roba da vecchi. Un tempo tutte le canzoni ne avevano uno, ma oggi sono in via d’estinzione. Perché la chitarra solista è sparita dal mainstream? Così recentemente un articolista sulla rivista Rolling Stone; e ammonticchiando parecchio confusamente ed erroneamente alcune questioni e argomenti, non si è nemmeno risposto…* Però è vero, gli assoli di chitarra elettrica in special modo con timbro distorto un tempo erano più presenti nelle produzioni musicali; tuttavia la tendenza è iniziata moltissimo tempo fa**, non è cosa recente.
Verrebbe subito da chiosare considerando che storicamente nelle produzioni più disimpegnate, come quelle delle boy band, l’assolo è praticamente assente, pertanto far conseguire che più che indice di modernità la rarità di assoli è sintomo d’immaturità; e viceversa, altro che "roba da vecchi"… Ma approfondiamo un minimo. Eh certo, troppo facile con copertine e titoli! E che ci vuole a evocare fascinose terre esotiche popolate da tribù perdute, con viaggiatori misteriosi che passano nottetempo tra Gibilterra e Madagascar, approdare alla via insulare e poi circolare tra mercati negri sudafricani con sottobraccio il libro della giungla; mimare tanghi americani e danze del sole nubiane in affollate processioni, tra colorati carnevali e acquosi aneddoti caraibici. Certo, che ci vuole… Josef Zawinul, tastierista e compositore austriaco, da tempo aveva messo d’accordo un po’ tutti, appassionati e addetti ai lavori di tutti i generi musicali, che lui era l’apice di un percorso di ricerca tra l’essere uno strumentista e un compositore capace di mescolare ritmi, suoni, armonie e melodie di mondi differenti e allo stesso tempo catalizzatore di un’abilità assoluta che, a prescindere dal genere, è tanto paradigmatica quanto riconoscibile.
La sua figura, torreggiante, indica un eminente fare musica che travalica generi e gusti. Solo dei colossi si può dire questo; e non di tutti. In America, si sa, l’ibridazione è di casa. E (segnatamente negli USA) uno degli esiti è stato la nascita nel Novecento del Jazz e del Blues. Successivamente è capitato che il Jazz e il Blues siano ulteriormente mutati fondendosi con altro; e tra loro. Sono sorti altri generi e stili pure alquanto popolari cantati e ballerecci (R&B, Soul, R'n'R, Funk), e una somma condensazione di ciò, prevalentemente strumentale e “di ascolto”, è stata la Fusion, che a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 ha vissuto il suo parabolico decennio.
Quel meraviglioso ed enorme vortice di onde di energia qual è la musica per me è stato sin da subito una specie di radar che mi ha aiutato a orientarmi nel mondo: mi segnalava i profili e i colori della realtà circostante. Divenne anche un sonar per scandagliare in profondità; di conseguenza ho vissuto. E così tuttora vivo. Talvolta nella mia testa l’eco della musica mi fa come intravedere nel buio la coda di un segreto sul punto di svelarsi, ma che gira l’angolo e sparisce, inafferrabile. Come un sogno che sta svanendo e che si cerchi di rammentare… Tuttora lo cerco.
Pat Metheny è in assoluto tra i più grandi chitarristi-compositori contemporanei, ma io lo trovai all’inizio un po’ scialbo e antipatico.
Yellowjackets (=Vespe) è il curioso nome di uno tra i massimi gruppi della Fusion. Il primo nucleo vede il tastierista Russell Ferrante, principale compositore, il chitarrista Robben Ford, il bassista Jimmy Haslip e il batterista Ricky Lawson; poi a rotazione altri bravissimi strumentisti. Misero a segno un formidabile uno-due pugilistico con il loro primo disco omonimo nel 1981 e Mirage A Trois (il loro primo capolavoro del 1983), che l’imposero sulla scena internazionale già come dei moderni punti di riferimento; ebbero un discreto riscontro di pubblico.
Questo articolo è tratto dal libro 📙 Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra Lo statunitense George Benson (Pittsburgh, 22 marzo 1943) è un magnifico chitarrista jazz apparso sulle scene nei ’60. Il grande successo lo ottenne nei due decenni successivi spostandosi progressivamente verso una musica più facile, cantata (benissimo), finanche danzereccia. In particolare dal disco Breezin’ del 1976 e con l’apice di Give Me The Night del 1980, ma ha continuato fino a oggi a esser ben presente sia discograficamente sia in concerto. Ottimo esempio della sua fase più luminosa è il live del ’78 Weekend in L.A..
Questo articolo è tratto dal libro 📙 Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra Bill Frisell è il chitarrista che più congiunge, in modo creativo e quindi originale, moltissimi generi e stili, sia musicali sia prettamente chitarristici. Attivo discograficamente dai primi anni ’80 sia come leader di propri progetti sia come collaboratore di altri o semplicemente ospite in qualità di chitarrista.
Tratto dal libro Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra Robben Ford è uno dei massimi chitarristi fusion di sempre. E quando si tratta di Fusion non ci si deve riferire semplicemente a un raffinato stile strumental-borghese di colto Pop-funk venato di Rock, ma a un sofisticato genere che ha come matrice il Jazz, e quindi una importantissima e adulta radice musicale: se non si padroneggia la grammatica e la sintassi jazz non si può tessere un serio discorso di musica Fusion. Questa è la ragione per cui anche grandi chitarristi rock non hanno accesso a questo genere.
Il Blues è tra le meraviglie musicali del Novecento. Infatti, all’alba dello scorso secolo in Occidente, una delle novità musicali più importanti è stata proprio l’apparizione del linguaggio jazz-blues di matrice afroamericana, che si è affiancato e sovrapposto a quello classico-europeo.
I batteristi si dividono in due macrocategorie, quelli di scuola jazz e quindi tendenti a essere ariosi, aperti, elastici e pittorici, e quelli funk-rocker, più stretti, con suoni rapidissimi e quindi intrinsecamente percussivi ed esplosivi, meno “melodici” e più geometrici.
Che Joe Zawinul sia il tastierista più importante di tutti non è difficile sostenerlo; ma è comunque riduttivo rispetto a ciò che è stato musicalmente. Joe Zawinul è stato un artista speciale. Tastierista e compositore nato in Austria (Vienna) nel 1932, si trasferì negli USA e da qui prese avvio la sua carriera. Dapprima, a cavallo tra i ‘50 e i ’60, come collaboratore di grandi leader (Maynard Ferguson e Dinah Washington), proseguendo dal 1961 con la lunga militanza nella band dei fratelli Cannonball e Nat Adderley (suo il grande successo Mercy, Mercy, Mercy del 1966). Poi, a cavallo tra ’60 e ’70, con Miles Davis. Nel frattempo registrò alcuni ottimi dischi come solista; ma soprattutto diede avvio nel 1971 (insieme con Wyane Shorter e Miroslav Vitous) al gruppo dei Weather Report: il gruppo strumentale più notevole di tutti, insuperato in longevità, quantità e qualità di opere (ed esibizioni live).
Castello di Carimate, dintorni di Como, autunno 1979, si sta registrando il terzo disco del giovane ed emergente cantautore napoletano Pino Daniele, quello che lo proietterà nell’empireo della musica italiana: Nero A Metà. I dischi immediatamente successivi eleveranno Daniele ancor più, confermando che non solo è nata una stella, ma che splende sicura come quella polare; allo zenith. Il disco è intriso di qualità a tutti i livelli; sarà un capolavoro.
Jazz + vocalità + Funk = Fusion cantata. Semplice ed elegante. Semplice ed elegante come era lui; Al Jarreau è stato l’esempio più garbato e alto di interprete moderno che ha unito molte caratteristiche musicali con disinvoltura. Quando è apparso al proscenio, nel ‘75 con il disco We Got By, era già in fase avanzata quella fusione tra generi che, avendo l’ascendente principale nel Jazz, ha prodotto, dal versante più colto, musica popular di grana fine e profumo sofisticato. Lui incrementò l’inclinazione.
Ho iniziato a strimpellare rock sul finire degli anni ’70. Era il tempo in cui nei gruppi (di solito formati da due chitarre, voce, basso e batteria), chi mostrava di cavarsela con la chitarra meglio di un altro aveva il ruolo di solista, l’altro era delegato ad accompagnare. Ma le comitive, le compagnie di amici all’epoca erano formate da tante persone, e inevitabilmente c’era sempre qualcun altro cui sarebbe piaciuto entrare in una band… era a un bivio, il terzo strimpellatore chitarrista della compagnia: o suonava il basso, magari cantando, oppure portava bibite e panini e mestamente guardava… Allora i bassisti rock erano spesso dei chitarristi frustrati.
I Weather Report e i Soft Machine sono stati, tra i gruppi strumentali, quelli che più hanno influenzato i musicisti più preparati e desiderosi di andare oltre il Jazz e il Rock, non tanto a livello strumentistico quanto a livello compositivo. E in assoluto i più validi epigoni di questi sono stati gli italiani Perigeo (in attività tra il 1972 e il ’76); il capo del gruppo è stato il bassista-compositore Giovanni Tommaso, già apprezzato jazzista e turnista per dischi più commerciali.
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Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Ottobre 2024
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