Questo tipo di espressione non ha alcuna sostanza, nessun fondamento né pratico né teorico. È usata da chi non sa argomentare musicalmente per obiettare.
Ciò anche per tre logici, decisivi, motivi.
A volte mi è capitato di ascoltare o leggere da parte di qualcuno che vuole affermare il valore musicale dei suoi beniamini (spesso in contrapposizione a giudizi altrui, di solito ben argomentati), che l’unica discriminante sia suonare la note giuste (o i colpi nel caso di batteristi-percussionisti) nei momenti giusti e con le giuste tecniche, il resto non conta.
Questo tipo di espressione non ha alcuna sostanza, nessun fondamento né pratico né teorico. È usata da chi non sa argomentare musicalmente per obiettare. Ciò anche per tre logici, decisivi, motivi.
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Spectrum di Billy Cobham è tra i dischi strumentali più famosi; di matrice jazz-rock, fu pubblicato nel 1973.
Soprattutto apprezzato dagli ascoltatori rock in virtù di una certa facilità di ascolto data da semplicità e linearità dei temi e dei ritmi, insieme con un’esplosiva energia, a volte aggressiva, data, oltre che da Cobham, dal grande tastierista Jan Hammer e dal chitarrista Tommy Bolin: sono i solisti principali. A volte mi è stato chiesto: è possibile stabilire la qualità tecnica di un’esecuzione di un brano o di un gruppo o di singoli musicisti?
Sì, certo. Magma è il nome di un eccezionale gruppo francese: poco conosciuto in Italia.
Fondato e capeggiato dal batterista-compositore (occasionalmente cantante, tastierista e percussionista) Christian Vander. Batterista straordinario, non apprezzato quanto merita, forse anche perché, a cominciare dal mix del suo strumento alle parti che idea ed esegue, mai egotico (strumentalmente), sempre al miglior servizio dei brani nel loro insieme: un vero compositore e leader. Nel Novecento c’è stato l’avvento del Jazz e questa fu la grande novità mondiale della musica.
L’innovazione è inerente non soltanto il concetto e la pratica di una diffusa improvvisazione di assoli e accompagnamenti, correlati anche a temi melodici sovente interpretati con notevoli variazioni rispetto alla pagina “scritta” inusitati fino allora, ma soprattutto del suo essenziale ritmo swing. E’ noto che il tempo lo misuriamo mediante ciclicità, che sia quella dell’arco di un giorno, delle stagioni o delle lancette di un orologio… E quando si tratta di musica più o meno tutti hanno sentito dire “questo pezzo è in 4/4”, e a cosa sia riferito molti lo hanno intuito, ovvero al tempo musicale. È chiamato metro*. Il metro è il conteggio degli intervalli simmetrici del tempo (battiti) a cui lo scorrere musicale è ineluttabilmente correlato; indica quanti siano quelli raggruppati (nel modo più semplice e logico) in una “scatolina” chiamata misura (o battuta). Ciò si determina dal periodare degli accenti insiti nel ritmo, sovente dalle parti cicliche di un groove di batteria o di un riff di chitarra o basso.
Nella storia del Rock non di rado è capitato che alcuni musicisti della prima fase di straordinari gruppi, per varie ragioni, siano stati sostituiti, e i loro successori ben accolti e rammentati. Di più, alcuni di questi musicisti, al netto delle inevitabili “sparate” dei fan, comunque alquanto sovrastimati e celebrati. Barriemore Barlow (Birmingham, 10 settembre 1949), il batterista dei Jethro Tull della loro era progressive (da Thick As Brick del ’72 a Stormwatch del ’79), fu ben accolto, ma non molto rammentato né giustamente stimato, anzi.
“Poli-”: primo elemento di parole composte di origine greca o moderna, indica molteplicità numerica o quantitativa. Questo recita il dizionario di un prefisso che calza a pennello a Jack DeJohnette, compositore e polistrumentista di Jazz e dintorni, in special modo batterista. È una delle figure musicali più “poli...”.
Swinging London! A metà anni Sessanta del XX secolo Londra è l'ombelico del mondo. Irradiava un vitalissimo fermento giovanile, oscillava impetuosamente verso il futuro; effervescenza che naturalmente ha innescato importantissime cose musicali. Fatti salvi i Beatles e tutto il grande Rock più di massa, ci fu un movimento più virato verso la musica strumentale che, partendo dal Blues e mischiandosi con istanze più avanzate, ha generato molte validissime realtà, tra cui i Colosseum del batterista Jon Hiseman che proveniva da importanti esperienze.
Tullio De Piscopo è il più famoso batterista italiano. Molti sanno che è un bravissimo uomo di musica, fertile autore e istrionico cantante-batterista, tuttavia la sua maestria come puro strumentista non tutti la intendono per quel che è nella sostanza. Ciò perché molti la fanno derivare dal suo essere un po’ plateale, dalla sua sovraesposizione, quando si tratta di mostrare la propria abilità al grande pubblico, ma De Piscopo è molto di più. Infatti, di là della sua stoffa volta all’ostentazione, erede di eccellenti e famosi predecessori del secolo scorso come Gene Krupa, Louie Bellson e Buddy Rich, coi loro celebri assolo, De Piscopo è un batterista più raffinato di quanto comunemente si creda…
Giulio Capiozzo è stato un batterista eccezionale, e non relativamente al nostro pur glorioso paese musicale, ma in assoluto. E come già scritto a proposito di un articolo, guarda caso, su Trilok Gurtu, nella stragrande maggioranza dei casi i batteristi si dividono in due macro categorie: ci sono quelli di scuola jazz e quindi ariosi, elastici e “melodici”, e quelli funk-rock, pertanto più intrinsecamente percussivi, geometrici, con suoni rapidissimi ed esplosivi.
Nulla in musica è casuale o effetto di qualche fulminazione divina; anche ai più bassi livelli è necessario un progetto e una messa in opera che solo dopo anni di specifico apprendistato cognitivo e strumentistico può produrre decenti risultati. Però è fuor di dubbio che il Rock in tal senso è un genere efficientissimo, soprattutto quello a grandissima trazione chitarristica, di derivazione più schiettamente Blues e R&R: con pochissimo si ottiene moltissimo. Impatto formidabile, affascinante.
I batteristi si dividono in due macrocategorie, quelli di scuola jazz e quindi tendenti a essere ariosi, aperti, elastici e pittorici, e quelli funk-rocker, più stretti, con suoni rapidissimi e quindi intrinsecamente percussivi ed esplosivi, meno “melodici” e più geometrici.
Agli appassionati di musica di una certa età (o batteristi) il nome di Michael Shrieve è noto per essere il ventenne batterista che nel 1969 fece un bel solo al megaconcerto di Woodstock. Lui era il batterista di questa nuova band di musica inusitata, qualificata latin-rock: i Santana. Michael Shrieve è stato uno dei più bravi batteristi rock in assoluto, però pochi oggi lo sanno, e ancor meno sanno davvero perché; certamente non per quel suo bell’assolo nel brano dal titolo così suggestivo: Soul Sacrifice. Così sovraesposto, l’unico batterista in quell’occasione, non poteva non “colpire” tutti.
Comunemente si pensa alla tecnica esecutiva musicale in modo errato. Moltissimi misurano il tasso tecnico di strumentisti/brani/gruppi prestando attenzione soltanto all’eventuale presenza di esecuzioni di passaggi musicali estremamente rapidi e netti (di solito a note singole pertanto melodici). Certamente non è sbagliato, ma assai parziale. Oltre a questo elementare aspetto della tecnica musicale, la mera meccanica del quanto (più rapidamente e nettamente possibile), c’è quello sofisticato del come ossia la cosiddetta pronuncia musicale, e il cognitivo quando ossia intendere delle misure ritmiche-metriche: sono gli aspetti più importanti e avanzati.
Facile esser acclamato se si fa parte di uno dei gruppi più celebrati della storia della musica; ancor più se batterista di genere Rock, quello davvero roccioso, visto che soprattutto chitarristi, cantanti e batteristi sono assiduamente alla ribalta. Precisione, “tiro e gran botta”, sono per un batterista il biglietto d’ingresso per partecipare legittimamente alle grandi messi tipiche di un genere come il Rock (ancor più se duro e pesante). E John Bonham aveva queste caratteristiche: era esplosivo, duro e pesante. Tuttavia non molto di più (peraltro non era rapidissimo), almeno per i primi tre dischi.
Può sembrare strano, però va considerato che il suo gruppo, i Led Zeppelin, ha sin da subito mietuto, non solo brani di gran successo, pezzi che nella loro composizione erano effettivamente significativi e che quindi hanno contribuito notevolmente ad accrescere negli ascoltatori la stima individuale dei musicisti protagonisti. Phil Collins, in quanto a stile, è un batterista di evidente stampo europeo; la sua derivazione wyattiana è la più consistente, ma è chiara anche una porzione moerleniana (Pierre Moerlen, batterista dei Gong). Tuttavia, in seguito, dopo la metà dei ’70, il suo batterismo si è proteso più distintamente in due direttrici. Da una parte un muscolare e teso Jazz Rock (soprattutto nella militanza con i Brand X); dall’altra, attento all’efficacia dell’applicazione del groove e al contempo più elegiaco narratore, perciò con sfumature sia come variazioni del riff ritmico sia sonore.
Dagli anni Ottanta fino a oggi sono pochissimi i batteristi degni di nota, tra questi Dave Weckl. A partire dalla metà di quel decennio si distinse nel genere Fusion poiché, seppur nello stile diffuso all’incirca da metà dei ‘70 soprattutto per opera di Steve Gadd, Weckl ampliò enormemente quel linguaggio a fronte di una forma più serrata e precisa in quanto a distribuzione di colpi, sia nei ritmi esposti che nelle frasi di raccordo (fill), e nel sapiente inserimento dei ritmi del genere Salsa.
Tony Williams, batterista e compositore, di là delle correnti stilistiche, è stato nel Jazz colui che ha più di ogni altro interpretato in termini tecnici/formali e innovato in termini di contenuti ideativi il linguaggio batteristico, elevando ulteriormente l’asticella già posta molto in alto da suoi eccellenti predecessori. Fu il batterista che, nemmeno diciottenne, nel ’63, approdò senza alcun timore reverenziale alla corte di Miles Davis, imprimendo sia alla batteria Jazz sia alla musica del quintetto del trombettista, una propulsione straordinaria.
Il 9 dicembre 1966 la Polydor Records pubblica "Fresh Cream" album d'esordio dei Cream: Jack Bruce (basso, armonica e voce), Eric Clapton (chitarre e voce) e Ginger Baker (batteria). E’ stato il primo e più importante gruppo (in termini di qualità e successo) a coniugare la forma canzone (anche con asimmetrie metriche), il Blues e moduli improvvisativi differenti da quelli sino allora frequentati, ovvero più slegati dalle formule bluesy e del Pop, più vicini a quelli Jazz: tutti, pure basso e batteria, nel costante dialogo tra loro e non limitati a fare da statico fondale per la figura principale.
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Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Ottobre 2024
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