Eberhard Weber è un musicista (primariamente contrabbassista e bassista) e compositore tedesco, attivo come leader di dischi nei primi anni Settanta per la casa discografica ECM, divenendo anche per ciò collaboratore di tanti compositori pubblicati da questa prestigiosa etichetta (Pat Metheny, Jan Garbarek, Gary Burton e molti altri).
0 Commenti
La struttura formale dei brani musicali è un fondamentale fattore, ma un po’ trascurato da tutti.
È mediamente poco preso in considerazione dai compositori di Jazz, Pop, Funk, Rock ecc., e assai poco rilevato dagli ascoltatori; seppur non c’è bisogno di un’istruzione musicale specifica, basta prestare un minimo di attenzione. O meglio, i compositori lo prendono in considerazione, ma nel senso che la stragrande maggioranza lo dà per scontato, appoggiandosi a una forma monotematica strofa-ritornello con le ali Intro-Coda. E quindi gli ascoltatori si sono assuefatti, pertanto ancor meno inclini a notare la forma musicale del brano che stanno ascoltando. Insomma, Intro-A-A-B-A molteplici volte e poi Coda. Più di 42 anni fa fu pubblicato un disco di Bill Bruford poco conosciuto ma di gran valore: Gradually Going Tornado. Registrato nell’estate del 1979 e nei negozi nel febbraio 1980; è la terza e ultima sua opera in studio col suo eccellente gruppo Bruford.
Tutti più o meno conoscono i tre fattori fondamentali della musica: ritmo, melodia e armonia.
Chiunque sa che una melodia è una sequenza di note singole che si possono fischiettare, l’armonia è realizzata dagli accordi dell’accompagnamento cioè molte note eseguite più o meno simultaneamente, e il ritmo è dato dagli impulsi contenuti in un ciclo di pochi secondi che in maniera reiterata qualche strumento esegue. C’è un ulteriore elemento chiamato tempo cui tutto ciò è biunivocamente connesso. Il tempo musicale significa due cose indipendenti tra loro: velocità e metro. Magma è il nome di un eccezionale gruppo francese: poco conosciuto in Italia.
Fondato e capeggiato dal batterista-compositore (occasionalmente cantante, tastierista e percussionista) Christian Vander. Batterista straordinario, non apprezzato quanto merita, forse anche perché, a cominciare dal mix del suo strumento alle parti che idea ed esegue, mai egotico (strumentalmente), sempre al miglior servizio dei brani nel loro insieme: un vero compositore e leader. Di The Dark Side of the Moon se n’è detto e scritto tantissimo; ce ne siamo occupati brevemente nel libro della collana Dischi da leggere: Pink Floyd 1967-1972 Gli anni sperimentali.
Estraendo dal testo. “Mai come in quest’opera c’è una minuzia certosina al dettaglio sonico operato con esemplare equilibrio e coesione tra asciuttezza incisiva e profondità panoramica: un lussuoso confezionamento di addensamenti e diluizioni di trame soniche pop-rock in stile Soul/R&B. Poco o nulla d’innovativo in assoluto e relativamente, però i Pink Floyd con Dark Side hanno donato una monumentale prova di potenza del Rock.” Quindi si proseguiva citando l'"ottimo" On The Run. Ad eccezione della stragrande maggioranza della musica Classica del Novecento e del Jazz, nella musica moderna c’è (soprattutto stata*) un’importante differenza: quella dai contenuti di alto e basso profilo, quella più impegnata (e impegnativa) e quella più disimpegnata e commerciale.
Si potrebbe indicare, semplificando**: le musiche che rientrano nell’alveo difficili e facili, complicate e semplici, sono categorizzate da una parte nei generi Progressive e Jazz-Rock, e dall’altra Pop, Funk-Dance, Blues e Rock (quello più semplice di natura blues o di canzone pop rivestita con suoni più sofisticati o al contrario più “duri”: l’Hard-rock) ***. Tutti sanno che i Rolling Stones sono un gruppo che ha macinato brani di gran successo sin dagli anni Sessanta e che la loro musica è fondata sull’estrema semplicità: grezzo rock striato di R&B.
Help! fu il primo brano dei Beatles che più mi avvinse a livello compositivo-esecutivo.
Ero un ragazzo che aveva da pochissimi anni iniziato lo studio della chitarra e della musica, pertanto la causa questa fascinazione era connessa a un’impressione a orecchio, affatto non razionale. La musica non esiste.
O meglio, esiste solo in un preciso spazio-tempo: la musica finché non è prodotta o riprodotta da strumenti o apparati elettronici che generano una variazione di pressione molecolare dell'aria, quindi un'energia, sussiste solo intellettualmente. Questo disco di Herbie Hancock pubblicato nel 1964 ha la mia età, ma non è certo per questo che ne scrivo oggi. Empyrean Isles è il quarto disco in studio di Hancock ed è un altro di quei dischi che ha contribuito ad ampliare la grandezza del Jazz, imprimendo ulteriori traiettorie a ciò che in questo genere gli artisti a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta stavano compiendo, andando oltre quella coniugazione stilistica chiamata hard-bop (e soul-jazz): la svolta modale e free.
Tubular Bells, pubblicato il 25 maggio 1973, è il primo album del britannico Mike Oldfield (e il primo della famosa casa discografica Virgin): per molti aspetti è un disco straordinario.
Penso che molti come me abbiano nel proprio cuore e nella propria mente alcuni dischi per peculiarità che sono percepite caratterizzanti: qualcuno in modo romantico, energico o complicato o… astratto. L’album Weather Report, il loro primo del ‘71, è il mio disco di astrazione... Musica ineffabile perché sembra senza forma, fluida; come suoni un po’ casuali e quindi non prevedibili, aleatori…
Però attenzione, l’astratto musicale in Weather Report non attiene semplicemente a rarefazione sonica con sospensione del parametro più elementare che collega tutti noi, ossia il ritmo: solo due brani, Milky Way e Orange Lady, non hanno scansioni percussive, e i rimanenti sei sono pure parecchio propulsivi ritmicamente. Avrò avuto suppergiù 14 anni quando ascoltai per la prima volta The Wind Cries Mary, e mi piacque subito, come a milioni di ascoltatori prima di me. La sensazione che ebbi fu di una canzone dolce ma forte, vigorosa e non smielata. E continuò a offrirmi questa impressione, sempre. Anche oggi è così. Già sapevo chi fosse Jimi Hendrix, la sua enorme fama e stima presso quelli più grandi di me che ci capivano di musica… D’altronde in quei tempi stavo imparando a suonare la chitarra, tentavo di informarmi e di Hendrix conoscevo altri brani e visto molti filmati.
Attribuii quella sensazione di virile romanticismo al suo modo di cantarla e suonarla la canzone, e per tanti anni la pensai solo in questa maniera: in parte è davvero così, ma non è la parte più rilevante. È noto che l’età aurea del Rock, all’incirca da metà anni Sessanta alla metà dei Settanta del ’900, ha compreso artisti e gruppi di eccezionale levatura che hanno prodotto capolavori cui ancor si fa riferimento. Innumerabili apporti di grande fantasia creativa e pregevolissime performance strumentistiche ognuno con spiccatissimo carattere individuale. Tra questi si è ulteriormente distinta una tanto piccola quanto importante corrente, per così dire, quella del Progressive, che ha, in stragrande maggioranza, fondato le proprie composizioni su matrici musicali europee e quindi della Classica e del proprio folclore, rinunciando pertanto agli esiti allora più in voga, ovvero a quelli americani segnatamente afroamericani: Rythm & Blues, Rock 'n' Roll, Funk, Jazz e dintorni.
Tra tutti questi artisti un gruppo si è ancor più differenziato, i Gentle Giant; e uno dei motivi lo vediamo brevemente appresso: il brano Three Friends dell’omonimo disco pubblicato nell’aprile del 1972. Come si suol dire, più unico che raro. Pochissime, misuratissime note, suoni, per esprimere vibrazioni poetiche… Ho sempre pensato alla poesia come a un qualcosa di esiguo, di estremamente raffinato; sofisticato. Come un diamante magistralmente tagliato con le migliori proporzioni per irraggiare più luce possibile. Concludo questa sorta di trilogia di articoli (qui e qui) dedicati ai Perigeo con uno dei brani che preferisco: Nadir. È contenuto nel bellissimo disco Abbiamo Tutti Un Blues Da Piangere pubblicato nel 1973.
Composto dal pianista Franco D’Andrea, quasi quattro minuti di grande atmosfera, senza assoli, basati su un nucleo di solo quattro note; ma è un nucleo eccezionale, trattato in modo straordinario... Quasi sempre le cose musicologiche sono più notevoli e interessanti quando si verificano contaminazioni tra generi. Poi se i generi in ballo differiscono parecchio, come il Jazz e il Rock, e se queste mescolanze accadono nello stesso periodo in modo tanto diffuso quanto distinto l’una dalle altre, andando così a scrivere capitoli fondamentali della storia della musica moderna, ecco che la questione assume una dimensione superiore. E i Perigeo (gruppo italiano di Jazz-Rock attivo nei ‘70) è l’altra faccia della medaglia di quei gruppi che a cavallo tra i Sessanta e i Settanta hanno contribuito a rendere il Rock un autorevole laboratorio di formidabili ibridazioni musicali: Cream, Colosseum, Soft Machine e King Crimson (tanto per citare i primi e tra i più famosi e influenti del panorama europeo) hanno dal versante rock “guardato” parecchio all’americano Jazz.
Di quel gran gruppo nostrano di Jazz-Rock chiamato Perigeo mi innamorai sin da ragazzino; successivamente l'ho amato in modo adulto e più consapevole. E proprio per questo mi ha fatto molto piacere vedere una recentissima pubblicazione della prima monografia a loro dedicata: il più importante gruppo italiano di musica strumentale. E seppur visto immediatamente che l’impianto del libro corrispondeva per circa tre quarti di aneddotica varia (biografie e interviste) e solo per un quarto alla descrizione dei brani dei loro dischi (peraltro non molto tecnica), l’ho acquistato senza indugio.
La popolarità che conseguì il brano Birdland* del gruppo Weather Report (a ragione diffusamente considerata band paradigmatica in quanto a qualità), contenuto nel disco Heavy Weather pubblicato nel 1977, fece un bel rumore nell’ambiente musicale. Dunque Birdland, un grande apparato musicale dotato di semplici congegni, è divenuto un campione della Fusion, un suo vettore basilare. Un appassionato, Davide, chiede a Rocco, l’amico esperto: cosa avrebbe di speciale questo pezzo?
Rocco: i motivi sono tanti… I due che subito mi sovvengono sono che unisce un ritornello (chiamiamolo così) parecchio saltellante e cantabile, da allegra filastrocca, con molte altre parti e non solo una strofa e un ponte come accade solitamente; in tutto sono ben 8; semplici, ma tante. Peraltro di carattere piuttosto differenti dal ritornello. Quindi un breve tema (il ritornello) ripetuto moltissime volte (nel finale per oltre un minuto e mezzo!) incastonato in una struttura complessa. Il secondo è che è suonato da un gruppo di apicale valore; non semplicemente da musicisti molto bravi o famosi. Nel 1983 (registrato l’anno precedente) fu pubblicato un pregevolissimo disco dal vivo, Travels (doppio), di un gruppo in ascesa in termini di qualità artistica e di consensi di pubblico, oltre che composto di brani perlopiù inediti: ben otto dei dodici (in 11 tracce). Un’altra particolarità, per un live, è che ben quattro pezzi sono delle minimali ballad prevalentemente chitarristiche: Goodbye, Farmer's Trust, Goin' Ahead e Travels. Il Pat Metheny Group di quest’opera è un quintetto capitanato dal chitarrista-compositore Pat Metheny, sontuosamente coadiuvato dal tastierista-compositore Lyle Mays, e perfezionato dalla “ritmica” di Steve Rodby (basso e contrabbasso) Danny Gottlieb (batteria) e dal brasiliano Nana Vasconcelos (percussioni e vocalizzi).
|
Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
Archivio
Ottobre 2024
Categorie
Tutti
|